“Redistribuzioni” di terre, statalismo, restrizioni al commercio, spesa pensionistica. Perché la Colombia rischia di diventare un nuovo Venezuela
Gustavo Petro è il nuovo Presidente della Colombia. Con il 50,50% dei voti, l’ex sindaco di Bogotà ha battuto Rodolfo Hernandez, 77enne imprenditore “outsider” che molti hanno paragonato a Trump e Berlusconi
Si tratta di un risultato storico: per la prima volta, in quel Paese, va al governo una forza di sinistra
Il programma
Il programma del Pacto Historico – questo il nome della coalizione guidata da Petro – rappresenta una decisa svolta nel Paese sudamericano, che fino ad oggi – nonostante i noti problemi relativi al narcotraffico e alla violenza – era rimasto immune da iperinflazione, defalut sul debito e altre specialità tipiche di quelle latitudini. Un Paese abbastanza attrattivo per gli investitori, grazie a tasse basse e poca burocrazia: nel 2020 risultava al 67esimo posto (su 190) nella classifica Doing Business, stilata annualmente dalla Banca Mondiale (l’Italia era 58esima).
L’avvento al potere di Petro potrebbe cambiare le cose; perché al di là di sacrosante intenzioni su parità di genere, tutela dell’ambiente e dei poveri, il quadro che emerge da una lettura minimamente attenta del programma è una visione decisamente anti libero mercato, statalista e centralizzata, che non a caso ha portato i suoi oppositori a denunciare il rischio di deriva venezuelana.
Ciò che più colpisce, in quelle 54 pagine di pdf, è la pressoché totale mancanza di numeri, cifre e dettagli, specialmente per quanto riguarda la parte dell’economia.
Espropriare? Noi? Ma figuriamoci!
Nel programma si legge:
Le donne rurali saranno le protagoniste della trasformazione. Daremo la priorità alla titolazione della terra alle donne rurali che sono state storicamente le custodi di semi, acqua, terra e vita
Cosa significa in concreto? Secondo la CNN spagnola, che Petro vuole una redistribuzione della terra, scoraggiando il latifondo e favorendo la piccola proprietà. Ma guai ad utilizzare il termine espropri: i suoi oppositori lo hanno costretto a giurare pubblicamente che non li farà, e lui stesso ha più volte ribadito di non aver mai neanche utilizzato quella parola. Da una rapida lettura ai commenti al tweet linkato sopra si può constatare che una discreta parte del popolo colombiano non si fidi di tale affermazione.
“Rinegozieremo i trattati di libero scambio”
Con questa frase lapidaria viene liquidato un punto che, come si può intuire, potrebbe avere un impatto drammatico nell’economia del Paese. Attualmente la Colombia ha stipulato diversi trattati di libero scambio – tra cui uno con l’Unione Europea – e l’ipotizzata rinegoziazione sembrerebbe orientata a ridurre intenzionalmente l’export di materie prime all’estero. Ciò viene in realtà detto esplicitamente:
Supereremo il ruolo di esportatori netti di beni dell’economia estrattivista come carbone, petrolio e monocultura estensiva, per passare a un’economia agraria e industriale ad alta intensità di conoscenza con un focus ambientale, e con un’enfasi sullo sviluppo di catene del valore aggiunto
Non più – par di capire – una nazione di contadini ed estrattori di petrolio e carbone, ma un Paese moderno, in cui il grosso della popolazione è impegnata nel settore terziario avanzato, e i pochi contadini rimasti siano altamente hi-tech e bio-sostenibili. Tutto molto bello, verrebbe da dire: resta solo da capire come intenda realizzare tutto ciò in 4 anni, mentre nel resto del mondo tali cambiamenti sono avvenuti nel corso di decenni.
La “democratizzazione del credito”
Quello che sembra evidente, in questa visione, è l’avversità verso il mercato, compensata da una grande fiducia nello Stato. Ciò emerge chiaramente nel punto 2.2 del programma, in cui compare un altro grande classico del genere: basta con il dogma della crescita, del pareggio di bilancio e del pagamento dei debiti!
Ricerchermo uno sviluppo della stabilità macroeconomica al servizio della cittadinanza (…) dove il lavoro, la distribuzione e le fonti di crescita abbiano la stessa importanza del ripagare i debiti ed il controllo dell’inflazione
La chiave per ottenere questo risultato sembra essere uno stretto controllo della Banca centrale (ma sempre “rispettando la sua reale indipendenza”, ci mancherebbe); questa dovrebbe erogare credito soprattutto alle piccole e medie imprese, “generando la maggior parte dell’occupazione nazionale”.
Sistema pensionistico “come nei Paesi Bassi” (a suo dire)
A completare il quadro c’è una riforma pensionistica che ricorda tanto quelle dei governi democristiani del dopoguerra italiano. In Colombia più della metà degli over 65 non ha accesso ad alcun sistema di pensione: né quello gestito dall’ente statale Colpensiones né dai fondi pensionistici privati. Su questo tema Petro ha dichiarato che
Il diritto alla pensione sarà una garanzia statale collettiva basata sulla solidarietà sociale e non sull’appropriazione privata di prestazioni a danno del risparmio di tutti i colombiani
In concreto, quello che vuol fare è creare un Pilar solidario basico, ossia un assegno personale non contributivo pari al salario medio minimo per tutti gli adulti che attualmente non hanno diritto alla pensione.