La moglie e i figli sono rifugiati in Canada
Raif Badawi è un attivista e blogger saudita. Nel 2006 ha creato il blog “Free Saudi Liberals”, dove si discuteva apertamente su temi politici e religiosi. L’idea non è piaciuta alle autorità dell’Arabia Saudita, che lo hanno arrestato e condannato a dieci anni, oltre a frustarlo in pubblico. Badawi ora ha scontato la sua pena, è tornato in libertà ma non può raggiungere la moglie e i figli, che sono rifugiati in Canada. Le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita sono numerose
Raif Badawi, 38 anni, è un attivista e blogger saudita, fervido sostenitore della libertà di pensiero e di espressione. Dopo dieci anni in carcere è stato liberato, ma non può ancora rivedere sua moglie e i suoi figli, rifugiati in Canada. Raif Badawi e Ensaf Haidar si sono sposati nel 2002 e hanno avuto tre figli: Terad, Najwa e Miriam. La loro vita è cambiata nel 2006, quando Raif Badawi ha fondato “Free Saudi Liberals”, un forum online di dibattito su temi politici e religiosi. L’obiettivo era creare uno spazio aperto, dove le persone potessero parlare in modo libero e pacifico. Un’idea rivoluzionaria per l’Arabia Saudita, tanto che il blog ha avuto subito un grande successo e ha indispettito le autorità, che hanno risposto arrestando Raif Badawi, nel 2012, con l’accusa di aver insultato l’Islam attraverso canali di comunicazione digitale. “Il giorno in cui Raif è stato portato in carcere ho deciso che avrei avuto due scelte davanti a me – ha detto la moglie Ensaf Haidar – essere debole, arrendermi e mettermi a piangere in un angolo o essere forte e combattere per la sua libertà. Sono una persona che ha sempre nutrito grandi speranze, nonostante gli ostacoli. Milioni di persone nel mondo conoscono il nome di mio marito, Raif Badawi. Questa attenzione è confortante, ma il motivo che l’ha generata mi sconvolge” ha detto. Ensaf Haidar e i figli vivono in Canada dal 2013, Paese che li ha accolti inserendoli in una lista prioritaria di rifugiati per motivi umanitari. Da allora, ogni venerdì, Ensaf Haidar ha organizzato una veglia per suo marito.
La condanna e le frustate in pubblico
Raif Badawi è stato portato in tribunale con diverse accuse, tra cui l’apostasia, ovvero la rinuncia all’Islam. La sua prima condanna, nel 2013, era di 7 anni di carcere e 600 frustate, ma la pena è stata poi aumentata. Il 7 maggio 2014, infatti, è stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, giudicato colpevole di “offesa all’Islam”. Il 9 gennaio 2015, inoltre, Badawi è stato frustato in pubblico per ben 50 volte, davanti alla moschea di al-Jafali, a Gedda. Una tortura di monito per altri attivisti, che ha generato numerose proteste internazionali. Una punizione “crudele e disumana”, secondo le Nazioni Unite. Grazie alle proteste e all’appello di 18 premi Nobel, le pene corporali sono state sospese nel gennaio del 2015, ma il 6 giugno dello stesso anno la Corte suprema dell’Arabia Saudita ha confermato la condanna, senza possibilità di appello, per la sua attività su internet e “gli insulti all’islam usando i media elettronici”. Nel 2015 Raif Badawi ha ricevuto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, il massimo riconoscimento che l’Unione europea conferisce agli sforzi compiuti a favore dei diritti umani. Tale riconoscimento metteva in evidenza ancora una volta l’ampiezza della repressione che l’Arabia Saudita sta attuando nei confronti di blogger, attivisti e difensori dei diritti umani, anche attraverso il ricorso a pene crudeli e inumane.
La liberazione
Il 12 marzo 2022, Raif Badawi è stato liberato dopo dieci anni di ingiusta detenzione, ma il suo incubo non è finito. Badawi, infatti, non potrà viaggiare per altri dieci anni, il che significa che per molto tempo non potrà raggiungere la moglie e i figli che vivono in Canada. Nello stesso giorno della sua liberazione, 81 persone sono state giustiziate per reati di terrorismo. L’agenzia di stampa saudita Saudi Press Agency, ha riportato che si tratta di persone “legate all’Isis, ad al-Qaeda, ai ribelli yemeniti sciiti filo-iraniani Houthi e ad altre organizzazioni terroristiche, che stavano pianificando attacchi a luoghi chiave ed erano dediti al traffico di armi nel Paese”. La pena di morte in Arabia Saudita è prescritta per diversi reati, tra cui omicidio, traffico di droga, adulterio, terrorismo e apostasia. L’ultima esecuzione di massa, come quella avvenuta quel giorno, era stata registrata nel gennaio del 2016, quando erano state giustiziate 47 persone.
I diritti umani in Arabia Saudita
La lista della violazione dei diritti umani in Arabia Saudita è molto lunga, a partire dall’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha contribuito in modo significativo a una guerra che ha devastato lo Yemen negli ultimi tre anni e mezzo, uccidendo migliaia di civili, compresi i bambini, bombardando ospedali, scuole e case. Numerosi i crimini di guerra scoperti da Amnesty. Da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman è salito al potere, molti attivisti sono stati arrestati o condannati a lunghe pene detentive semplicemente per aver esercitato pacificamente il loro diritto alla libertà di espressione, associazione e assemblea. Le autorità hanno preso di mira la comunità di difensori dei diritti umani, usando le leggi anti-terrorismo e contro il cyber-crimine per sopprimere il loro attivismo pacifico come strumento di opposizione alle violazioni dei diritti umani. All’inizio del 2018, una serie di difensori dei diritti delle donne sono stati arrestati, tra cui Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef. Dopo il loro arresto, il governo ha lanciato una campagna diffamatoria per screditarli come “traditori”. Ora rischiano una lunga pena detentiva. L’Arabia Saudita, inoltre, emette ogni anno moltissime condanne a morte, spesso eseguite con macabre decapitazioni pubbliche.