Greenpeace: consumare meno carne per la sicurezza alimentare

Secondo un sondaggio, i cittadini europei sono d’accordo

Un sondaggio commissionato da Greenpeace Francia in otto nazioni europee, compresa l’Italia, rivela che i cittadini europei sono consapevoli degli impatti ambientali della produzione intensiva di carne e non vogliono che l’Unione Europea finanzi ulteriormente la promozione di prodotti a base di carne

L’Ue ha speso 143 milioni di euro negli ultimi cinque anni. Tra cambiamenti climatici e guerra in Ucraina, serve un piano per la sicurezza alimentare

I cittadini europei sono abbastanza consapevoli degli impatti ambientali della produzione intensiva di carne, ormai scientificamente riconosciuti. È quanto rivela un sondaggio commissionato da Greenpeace Francia e realizzato in otto paesi europei, compresa l’Italia, in cui emerge che circa un cittadino europeo su due riconosce gli impatti sul clima (52 per cento), sulle foreste e sulla natura (50 per cento) e sulla qualità dell’acqua e dell’aria (54 per cento), mentre una maggiore consapevolezza si registra per gli impatti sulla salute umana (60 per cento) e sul benessere degli animali allevati (68 per cento). In Italia, rispetto alla media europea, c’è un livello di consapevolezza più alto rispetto agli impatti sulla salute (71 per cento) e sul benessere animale (72 per cento), e leggermente più basso rispetto agli impatti sul clima (49 per cento). “Gli impatti della produzione intensiva di carne sui cambiamenti climatici sono già un motivo più che sufficiente per produrre e mangiare meno carne, ma la crisi legata alla siccità e alla guerra in Ucraina rendono questo obiettivo ancora più urgente – ha spiegato Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia -. Proprio mentre cresce la preoccupazione per la sicurezza alimentare, soprattutto per le popolazioni più dipendenti dalle esportazioni di cereali, l’Europa continua a usare enormi quantità di terreni utilizzati per l’irrigazione per produrre cereali destinati a diventare mangime per gli animali, sottraendoli al consumo umano. Mangiare meno carne non solo è meglio per la nostra salute, per l’ambiente, per il clima, ma è anche il modo più semplice per assicurare che ci sia cibo per tutti. È grave che l’UE e i governi nazionali continuino a spendere i soldi dei contribuenti per far crescere il consumo di carne, soprattutto in questa fase storica”.

143 milioni di euro per promuovere prodotti a base di carne

Oltre la metà dei cittadini europei, italiani inclusi, ritiene che le campagne che promuovono il consumo di carne non dovrebbero essere finanziate con fondi pubblici, come emerge dal sondaggio di Greenpeace. La Commissione europea sta valutando se continuare a finanziare campagne pubblicitarie per prodotti a base di carne nell’ambito della politica di promozione dei prodotti agricoli dopo aver speso per questa promozione, 143 milioni di euro negli ultimi cinque anni. Quasi il 51 per cento degli intervistati ritiene che questo non debba più avvenire. Nel nostro Paese questa percentuale sale al 53 per cento. In Italia, circa il 48 per cento ritiene inoltre che i supermercati non dovrebbero essere autorizzati a promuovere la “carne a basso costo” o a pubblicizzare forti sconti sui prodotti a base di carne, mentre il 58 per cento pensa che sarebbero opportune delle misure per ridurre il consumo di carne. Un cittadino italiano su due ritiene inoltre che si debba produrre meno carne, proprio a causa degli impatti ad essa legati.

Il grano dell’Ucraina e la sicurezza alimentare

Più del 60 per cento dei cereali commercializzati in Europa è destinato all’alimentazione animale, e solo il 22 per cento per quella delle persone. Secondo i calcoli di Greenpeace, con una riduzione dell’8 per cento degli animali allevati in Unione Europea, si potrebbe risparmiare abbastanza frumento da compensare il deficit previsto a causa della guerra in Ucraina a seguito dell’invasione russa. L’Ucraina è un importante esportatore di cereali a livello europeo e il blocco della distribuzione dovuto alla guerra ha innescato da un lato forti dinamiche speculative e dall’altro ha posto degli interrogativi su come vengono utilizzate le risorse europee. Greenpeace sostiene che in questo contesto è particolarmente grave che l’UE e i governi nazionali continuino a spendere i soldi dei contribuenti per far crescere il consumo di carne e sistemi di produzione intensiva che, di fatto, sottraggono risorse naturali ed alimentari al consumo diretto umano. Produrre e mangiare meno carne sta diventando una questione di sicurezza alimentare, per garantire che ci sia cibo per tutti.

Il futuro dell’agricoltura tra guerra e siccità

La siccità e la situazione geopolitica mostrano con estrema chiarezza l’urgenza di orientarsi, anche in Italia, verso un’agricoltura meno dipendente da input esterni, più in equilibrio con la natura e, per questo, più resistente a eventi climatici estremi, ormai sempre più frequenti. Dovrebbero essere questi, secondo Greenpeace, i pilastri del Piano Nazionale Strategico della PAC post 2020, sul quale il Ministero dell’Agricoltura sta lavorando per giungere alla versione finale da inviare alla Commissione europea entro fine luglio. La Commissione europea, tuttavia, ha già osservato che il Piano non affronta con l’efficacia necessaria le questioni ambientali, e anzi rischia di promuovere interventi potenzialmente dannosi, come l’intensificazione dell’allevamento o sostegni che comportino un aumento delle superfici irrigue, come l’Italia rischia di fare con la coltivazione del mais, in gran parte destinato alla zootecnia. Preoccupa anche l’intenzione di sfruttare i terreni a riposo, che sono invece fondamentali per la salute dei territori agricoli, sulla scia di “deroghe” alle misure ambientali tese ad intensificare le produzioni agricole in risposta alla crisi bellica. In questo momento più che mai è necessario compiere scelte politiche che sappiano guardare lontano, e che le istituzioni e le associazioni di categoria comprendano che le misure ambientali non sono un ostacolo alla produzione agricola ma, anzi, sono uno strumento per garantirne la sopravvivenza, minacciata da siccità e cambiamenti climatici. Per questo Greenpeace, insieme a molte associazioni, ha chiesto al ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli di convocare urgentemente il tavolo di partenariato, all’interno del quale realtà produttive, sociali e mondo ambientalista possano, con pari dignità, disegnare un futuro realmente sostenibile dell’agricoltura italiana.

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