Di fronte a siccità, necessità di razionalizzare il consumo di acqua e cercare cibi a basso impatto ambientale, si fa strada lo spinoso fico d’India
La Sicilia ha tutto per diventare leader mondiale, adesso che esporta anche. Manca un po’ di convinzione e di formazione per gli imprenditori
Il fico d’India (anche se viene dal Messico ma paghiamo ancora l’errore di Colombo) ci può salvare. E’ una pianta succulenta, impatta zero sull’ambiente e sopporta meglio di tante altre la siccità: tanto per dire, per produrre un chilo di frutto necessita di circa 20 litri di acqua all’anno, una quantità minima rispetto agli 80 necessari per avere 1 kg di mele. Considerata infine la sua commestibilità e il suo valore nutritivo, il fico d’India è destinato a diventare una delle piante più importanti del prossimo futuro. Queste le caratteristiche vincenti di un frutto tipicamente italiano, anche se ancora non del tutto conosciuto e valorizzato. Certo, non c’è rosa senza spine.
Fico d’India, la produzione in Italia
La Sicilia ha l’esclusiva sulla filiera produttiva del fico d’India e detiene il monopolio del mercato italiano; questo grazie alla superficie complessiva di circa 7mila ettari. Le aree di produzione più significative sono San Cono (Catania) e l’Etna, per un totale di oltre 6000 ettari. Il frutto conosce una fase di espansione da qualche anno, soprattutto per via del cambiamento climatico in atto.
È una coltura utilissima contro gli incendi, per evitarne la propagazione. In passato gli agricoltori piantavano sui confini due file di fico d’India, distanziate di qualche metro l’una dall’altra, per creare una barriera tagliafuoco. Questo perché le pale di tale pianta sono una riserva d’acqua e il fuoco trova un forte ostacolo nella sua avanzata.
La natura di jolly è confermata dal fatto che del fico d’india si può usare tutto: dai fiori si fanno tisane e infusi, con i cladodi si può produrre energia o anche ricavarne una farina da miscelare con quella del grano, il frutto si consuma fresco o trasformato. I semi sono impiegati anche nella cosmesi, con un olio che ha caratteristiche cicatrizzanti e benefiche per la pelle.
Ora sta iniziando anche una timida esportazione, soprattutto veso gli Stati Uniti. Considerata anche la prolificità delle piante, con produzione che va da fine luglio a tutto ottobre, c’è da credere che si possano realizzare anche margini non esigui. Chissà che in futuro non prende davvero piede, noi intanto il suggiremento lo diamo!