Sciolto il parlamento, il paese si avvia verso nuove elezioni, che potrebbero riportare al governo il partito di Benyamin Netanyahu
Intanto Tel Aviv cerca di affermare il proprio controllo sul Mediterraneo orientale, soprattutto sui suoi giacimenti di gas
Instabilità politica interna
Il 30 giugno, in Israele, il Parlamento ha votato per la propria dissoluzione, aprendo la via alle quinte elezioni legislative negli ultimi tre anni, la cui data è stata fissata per il prossimo primo novembre. A guidare il paese fino al giorno delle consultazioni sarà, come previsto dall’accordo di coalizione, il nuovo primo ministro, Yair Lapid, che, inoltre, conserverà la carica di ministro degli Esteri. Il suo predecessore, Naftali Bennet, da parte sua, ha annunciato che non intende candidarsi alla prossima tornata elettorale e che cederà la direzione del suo partito, Yamina (destra nazionalista), all’attuale ministro dell’Interno Ayelet Shaked. In effetti, il 27 giugno, Bennet e Lapid avevano già annunciato la loro intenzione di sciogliere la Knesset, a causa dell’instabilità della coalizione di governo, che include forze di destra (come il partito Yamina), di centro-destra, fino alla sinistra e alla Lista araba unita, di ispirazione islamica. Due giorni dopo, dunque, i deputati avevano approvato in via preliminare lo scioglimento del parlamento, ma sull’avvio verso nuove elezioni non erano tutti concordi. Dalle fila del Likoud, partito di Benyamin Netanyahu, Miri Regev aveva suggerito l’opzione di un governo alternativo guidato proprio dall’ex primo ministro, che, dopo essere stato scalzato dall’attuale coalizione di governo, considera la crisi politica attuale un’occasione per concorrere per un sesto mandato. Intanto, il suo ex consigliere economico Avi Shimon si è dichiarato pronto a candidarsi per le prossime primarie del Likud, lanciando una campagna elettorale incentrata sulla riduzione dei prezzi delle proprietà immobiliari, primo passo per contrastare l’aumento del costo della vita, che, lo scorso 19 giugno, aveva scatenato proteste a Tel Aviv.
La questione palestinese
Il primo video-proclama elettorale di Netanyahu, peraltro, ruota attorno all’intervista dell’ex consigliera di Bennett, Shimrit Meir, al quotidiano Yedioth Ahronoth, durante la quale sono state evocati i provvedimenti che l’ex primo ministro avrebbe voluto prendere per assicurarsi il sostegno dei partiti arabi della coalizione di governo, la Lega araba unita e Raam, del quale all’inizio di maggio si temeva la defezione. Nel video, Netanyahu suggerisce persino che Lapid fosse allora disposto a fare enormi concessioni a Raam in cambio della sua fedeltà, poiché il suo governo non sarebbe rimasto unito «senza il sostegno della Lista araba unita e dei Fratelli musulmani». Il che lascia presagire che un sesto mandato per Netanyahu comporterebbe complicazioni tanto interne, poiché rischierebbe di inasprire le tensioni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, quanto regionali, in quanto potrebbe prolungare lo stallo nei negoziati internazionali con l’Iran. Sul fronte palestinese, anzitutto, Tel Aviv potrebbe avere qualche imbarazzo, non solo dall’esito delle indagini delle autorità statunitense sul proiettile che uccise la giornalista Shireen Abu Akleh (palestinese naturalizzata statunitense), che l’Autorità palestinese ha inviato a Washington per un’analisi medico-legale. Infatti, la questione araba, da un lato ha acquisito maggior rilevanza per la sicurezza di Israele da quando gli arabo-israeliani hanno iniziato a mostrare solidarietà nei confronti dei palestinesi. Dall’altro, le recenti normalizzazioni tra Tel Aviv, la Turchia e diversi paesi arabi hanno diffuso, tra i palestinesi, il timore dell’oblio definitivo della loro causa.
Pressioni mediterranee
Frattanto, Israele coltiva le proprie relazioni mediorientali, nel tentativo esercitare la massima pressione sull’Iran, e mediterranee, per garantirsi il monopolio dei giacimenti di gas, in un momento di crisi energetica globale. Dal 20 al 30 giugno, inoltre, Tel Aviv ha inviato i propri «osservatori» all’edizione del 2022 delle esercitazioni militari annuali African Lion 2022, a guida statunitense e condotte principalmente in Marocco (anche in prossimità del delicato confine con l’Algeria), con alcune operazioni in Tunisia, Senegal e Ghana. Vi hanno preso parte, oltre a Rabat, Brasile, Chad, Francia, Italia, Paesi bassi, Spagna e Regno unito. Nel Mediterraneo orientale, intanto, l’accordo tra Egitto, Israele e Unione europea per l’esportazione di gas israeliano verso il vecchio continente, potrebbe aprire la via tanto a un’ascesa geopolitica regionale di Tel Aviv, quanto alla creazione di un polo anti-iraniano, che potrebbe includere anche le monarchie del Golfo e costituire un argine alle velleità di potenza turche. Senonché, al Forum del gas del Cairo, a metà giugno, era presente anche una delegazione palestinese, che ha rivendicato il diritto di sfruttare liberamente le proprie risorse energetiche, a partire dal giacimento Gaza Marine. Il 2 luglio, inoltre, l’esercito israeliano ha dichiarato di aver abbattuto «tre droni che si avvicinavano alle acque economiche di Israele», lanciati dal movimento sciita libanese Hezbollah, sostenuto dall’Iran. I tre velivoli, intercettati dall’aviazione e dalla marina, si dirigevano verso il giacimento di Karish, conteso tra Israele e Libano, che, secondo Beirut, potrebbero raggiungere un accordo sulla frontiera marittima a settembre. Hezbollah, da parte sua, ha dichiarato di averli lanciati «per missioni di ricognizione», concluse con successo, senza menzionare l’abbattimento da parte di Tel Aviv. Intanto, lo scontro per procura con Tehran prosegue anche in Siria, dove il 10 giugno l’aviazione israeliana ha colpito l’aeroporto di Damasco, ricevendo in risposta parole di condanna soprattutto dal governo siriano, dalla Repubblica islamica e dalla Russia. Il 2 luglio, invece, a essere colpita è stata la costa a Sud di Tartous, dove Mosca, che controlla lo spazio aereo siriano in base agli accordi di Astana, ha un’importante base navale.