Dialogo IX, alla Pinacoteca di Brera due capolavori di Caravaggio a confronto

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La già vivace vita culturale di Milano si arricchisce di un’ulteriore novità.

Una mostra che ha al centro uno dei massimi protagonisti della storia arte di tutti i tempi: Caravaggio.

Dopo la pausa forzata dovuta alla pandemia da Covid 19, la Pinacoteca di Brera di Milano riprende il programma di confronto tra capolavori della sua collezione e quadri ospiti, avviato dal direttore James Bradburne nel 2016. L’esposizione, intitolata “Il nono dialogo”, a cura di Letizia Lodi, dà l’opportunità di ammirare in contemporanea due capolavori del genio lombardo quali “La cena in Emmaus” (1606) – che dal 1939 appartiene alla stessa Pinacoteca di Brera – ed il “Davide con la testa di Golia” (1607) proveniente dalla Galleria Borghese di Roma.

Emmaus è un piccolo villaggio, poco distante da Gerusalemme, dove, secondo quanto riportato dal Vangelo di Luca (Lc 24, 13), Cristo risorto si rivelò a Cleofa ed al suo compagno. Caravaggio dipinge una scena che avviene qualche momento dopo la sorpresa dei discepoli alla scoperta di Cristo risorto. Dal 21 giugno al 25 settembre 2022 i due dipinti, entrambi appartenenti alla tarda produzione di Caravaggio, eseguiti tra Roma e Napoli, saranno per la prima volta esposti insieme – protagonisti di un confronto mai visto che permetterà di cogliere dettagli che di solito sfuggono al pubblico – e ancora molto dibattuto dalla critica. ll “Nono dialogo” è il terzo appuntamento ad ospitare in Pinacoteca opere di Caravaggio: una mostra nel 2009, Caravaggio ospita Caravaggio, a cura di Mina Gregori e Amalia Pacia, aveva messo per la prima volta a confronto la Cena in Emmaus di Brera con la Cena in Emmaus della National Gallery di Londra – del 1602 – e nel catalogo vi erano stati importanti contributi sulle due opere e le loro vicende critiche. Un più recente appuntamento, nel 2017, Attorno a Caravaggio.

La versione del dipinto della Borghese si allontana dalla tradizionale rappresentazione del David trionfante, esempio di virtù vittoriosa: il giovane eroe tiene nella mano destra la spada con cui ha appena inferto il colpo mortale a Golia, mentre rivolge uno sguardo compassionevole e malinconico alla testa mozza del gigante sconfitto. La complessità degli aspetti narrativi sottesi e la carica tragica dell’opera sono amplificati dalla presenza dell’autoritratto del pittore nella testa del gigante sconfitto, di cui parlano già le fonti seicentesche, in relazione anche al primo proprietario del dipinto, il cardinale Scipione Borghese. “L’autoritratto del volto di Golia grondante sangue è particolarmente drammatico, con quel grumo di rughe sulla fronte che prelude alla vacuità degli occhi, fermati in uno sguardo asimmetrico e all’urlo fissato dalla morte” (Cappelletti, 2010).

Una questione di attribuzione, a cura di Nicola Spinosa e James Bradburne, aveva consentito di osservare alcune copie seicentesche di Louis Finson esposte e di ragionare su una vicenda attributiva complessa, quella della Giuditta di Tolosa. La maggior parte dei critici oggi ritiene che la tela sia stata eseguita durante il secondo soggiorno a Napoli, verso la fine del 1609, ma recenti studi sostengono che la data del dipinto sarebbe tra la fine del periodo romano e i primi mesi del soggiorno napoletano. Quest’ultima tesi escluderebbe il riferimento del perdono, suggerito dalla testa mozzata del gigante.

La condanna a morte pronunciata nel 1606 era già nota all’artista e spiegherebbe la somiglianza stilistica con il dipinto di Brera con il quale, fino al 25 settembre, viene messo a diretto confronto. “Il dibattito sui dipinti non verte solo sull’attribuzione – ovvero sull’identità dell’artista – ed anche questa non pare in discussione, come nel caso del Caravaggio della Galleria Borghese, ma un altro elemento fondamentale della storia di un quadro è il momento in cui è stato realizzato”, dichiara James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense. “Conoscere esattamente quando un’opera viene conclusa risulta essenziale per comprenderne il contesto, l’iconografia e soprattutto per collocarla esattamente nel percorso evolutivo dell’artista”.

Giulia Cortese

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