All’origine della crisi agricola in Sri Lanka c’è la scelta, da parte del governo Rajapaksa, di mettere al bando i fertilizzanti sintetici e puntare tutto sul biologico
La decisione aveva suscitato l’entusiasmo di Vandana Shiva e dei suoi sostenitori.
La crisi che ha colpito lo Sri Lanka è giunta nei giorni scorsi al suo tragico apice, con l’assalto al palazzo presidenziale (ed annesso tuffo in piscina) da parte della folla inferocita. Qui su Italiani News ne ha parlato Carlotta Caldonazzo in questo articolo e quest’altro.
Con il passare delle settimane l’attenzione dei media anche internazionali si sta focalizzando su un aspetto specifico della crisi: la decisione, da parte del Presidente (dimissionario e ora fuggitivo) Rjapaksa di mettere al bando i fertilizzanti e puntare su un’agricoltura 100% biologica. Si erano occupati di ciò Ted Nordhaus e Saloni Shah su Foreign Policy, in un articolo pubblicato il 5 marzo di quest’anno.
Come spiegato dai due autori, la transizione totale all’agricoltura biologica nell’arco di un decennio era una promessa elettorale di Rajapaksa dal 2019, e concretizzata ad aprile 2021 con la messa al bando delle importazioni di fertilizzanti sintetici e pesticidi. Una decisione accolta con tweet di giubilo da una parte del mondo ecologista, e in particolare da Vandana Shiva, fondatrice di Navdanya (nonché ex consulente scientifico del nostro Ministero dell’Istruzione) e convinta sostenitrice della tesi che l’agricoltura biologica abbia una resa produttiva uguale – se non maggiore – di quella tradizionale.
Riso e té le produzioni più colpite
Tesi ahimé smentita dalla realtà, come dimostra il caso dello Sri Lanka. Dopo il bando ai prodotti chimici, la produzione nazionale di riso è diminuita del 20% solo nei primi sei mesi. Lo Sri Lanka, da tempo autosufficiente nella produzione di questo alimento base, è stato costretto a importarlo per un valore di 450 milioni di dollari; il prezzo nel Paese è aumentato del 50%.
Il bando ha devastato anche la produzione di tè, sua principale esportazione.
Questi risultati avevano indotto il governo, già a novembre 2021, a smorzare il divieto sulle produzioni principali (cereali, tè, gomma e cocco); tuttavia le crescenti proteste, l’inflazione galoppante e la svalutazione della moneta avevano poi portato all’abolizione definitiva – almeno per le coltivazioni summenzionate – ad aprile 2022.
Ristori insufficienti
Consapevole del danno causato, il governo srilankese aveva poi deciso di stanziare dei ristori per i coltivatori danneggiati dal bando: 200 milioni di dollari come ristoro diretto, più altri 149 sotto forma di sussidi.
Misure, queste, ritenute tuttavia insufficienti sia dagli agricoltori sia da organi internazionali: un report stima le perdite della sola produzione di té attorno ai 425 milioni di dollari.