Intervista esclusiva a Niccolò Daviddi, l’archeologo “licenziato” dopo che aveva raccontato alla Rai le condizioni di lavoro degli archeologi sui cantieri
Da qualche settimana Niccolò Daviddi è diventato il volto di una categoria – i professionisti dei Beni Culturali – che da anni denuncia condizioni di lavoro indegne di un Paese civile. Dopo una sua intervista alla trasmissione Agorà è stato estromesso dalla chat in cui la società archeologica per la quale lavorava assegnava gli incarichi
L’abbiamo incontrato a Roma per fare il punto sulla situazione e raccontare cos’è diventato il lavoro in Italia, nel mondo dei beni culturali
Domani (14 luglio) voi di Mi Riconosci? verrete ascoltati dalla Commissione Lavoro del Senato, dopo essere stati ricevuti qualche settimana fa dalla vice capo-gabinetto del Ministro del Lavoro. Che sensazioni avete avuto? Oltre ad ascoltarvi vi hanno anche promesso qualcosa?
In seguito alla manifestazione di due settimane fa, sotto al Ministero del Lavoro, quando eravamo stati ricevuti dalla vice capo-gabinetto del Ministro, siamo stati ascoltati per una quarantina di minuti abbondanti. Ha preso molti appunti. Abbiamo riepilogato tutti i problemi del settore, in particolare lo sfruttamento delle società e cooperative archeologiche. Abbiamo parlato non solo dell’archeologia, ma in generale del campo dei Beni Culturali, con rapporti di lavoro che talvolta sfiorano il capolarato. Questo termine non si può legalmente usare, ma con l’avvocato del lavoro stiamo cercando di dimostrare che si tratta di un lavoro subordinato mascherato da P.IVA.
Avevamo iniziato ad avvicinarsi all’Unione Sindacale di Base (USB) nello scorso autunno, ed erano rimasti molto impressionati da ciò che stavamo raccontando loro. Questo perché neanche loro avevano idea di cosa succeda nel mondo dei Beni Culturali, non essendoci una sindacalizzazione del settore. Abbiamo mostrato loro anche gli screenshot delle comunicazioni via Whatsapp della società in cui lavoravo; tendevano ad essere molto pressanti su tempi e orari dell’organizzazione. L’USB ci ha fornito subito il completo appoggio legale gratuito.
Che tipo di pressioni avevate?
Dovevamo prima di tutto mandare un file Excel con la nostra presenza ogni mattina, a mo’ di timbro del cartellino; poi, soprattutto, dovevamo dare aggiornamenti continui sull’andamento del cantiere, specificando se le ditte stavano scavando o meno. Nei giorni in cui pioveva venivamo tartassati. Però, guarda caso, quest’ansia da aggiornamenti magicamente finiva alle 14:00.
Perché?
Perché dopo le 14:00 erano costretti a pagarci la giornata lavorativa intera. Funziona così: se veniamo mandati via alle 10:00 la nostra paga è di 20€ lordi; tra le 10:00 e le 14:00 sono 40€, mentre dopo le 14:00 scatta la giornata intera (80€).
Il mio sospetto è che la società archeologica facesse di tutto per mandarci via prima delle 14:00, così da pagarci mezza giornata incassando però l’intera cifra dalla ditta edile.
Oltretutto, capitavano i giorni in cui c’erano due squadre di operai, a distanze che potevano arrivare a centinaia di metri o perfino qualche chilometro. Ora, in questi casi la legge stabilisce che devono esserci due archeologi. Ciò che succedeva, invece, era che ci davano 20€ lordi in più sulla giornata per seguire le due squadre e quindi fare un doppio lavoro, oltretutto violando la legge. Anche in questo caso ho il sospetto che l’impresa archeologica prendesse il compenso per due archeologi, pagandone di fatto uno solo.
Prima di scatenare il putiferio mediatico vi eravate rivolti alle associazioni del settore?
Ci siamo rivolti ad ANA (Associazione Nazionale Archeologi) Lazio ed alla CIA [Confederazione Italiana Archeologi, n.d.r.], chiedendo di segnalare la situazione ad Archeo Imprese, l’associazione di categoria delle imprese archeologiche. Ma in entrambi i casi la cosa non è andata a buon fine.
Riguardo ad ANA Lazio, avevamo saputo che la titolare dell’impresa per cui lavoravo aveva in passato ricoperto un ruolo direttivo come tesoriera presso di loro, e questo ci aveva frenato molto dall’idea di chiedere aiuto, perché ci sembrava un conflitto di interessi. Successivamente li abbiamo contattati lo stesso, e ci hanno assicurato che quella persona non ricopriva più alcun ruolo. Comunque non abbiamo mai avuto risposte circa la segnalazione della situazione ad Archeo Imprese.
Per quanto riguarda CIA, invece, ci è stato chiesto di inviare loro i materiali (screenshot etc.), promettendo di inviare la segnalazione ad Archeo Imprese. In questo caso abbiamo saputo – ma solo dopo che era già montato il caos mediatico e per vie informali – che la segnalazione era stata fatta, ma senza ottenere risposta.
Per questo, dopo la mia estromissione dalla chat, abbiamo iniziato con Mi riconosci? (di cui sono attivista da dicembre) a pressare sulla stampa e anche con la politica, per avere la massima visibilità possibile.
Concretamente cosa chiedete? Un salario minimo? Un contratto collettivo nazionale?
Parlare di CCN in questo caso non ha molto: noi non abbiamo un contratto, abbiamo lettere d’incarico. E tra l’altro non c’è neanche chiarezza su quale contratto applicare per gli archeologi: molti di noi sono inquadrati nell’edilizia, ma altri sono sotto federcultura. Quello che vogliamo chiedere è una parte di internalizzazione nella Soprintendenza, perché di fatto noi lavoriamo per conto loro.
Ecco, spieghiamo bene come funziona
La legge prescrive che ci sia un archeologo sui cantieri; la Soprintendenza delega alle imprese il compito di trovarne uno. Noi vogliamo interrompere questo conflitto di interessi: di fatto è il controllato che paga il proprio controllore. È come se, al mercato ittico, il pescatore pagasse l’ispettore dell’ufficio igiene che va a controllare se il pesce è fresco.
Con il Ministro Franceschini avete mai interloquito?
Franceschini è stato sollecitato una miriade di volte da Mi riconosci?, ma non ci ha mai ricevuto.