Dopo trent’anni Elio Vito lascia il Parlamento
Ieri l’aula della Camera, contrariamente a quanto è avvenuto frequentemente in passato, ha accolto subito la richiesta di dimissioni: 3 gli astenuti, 225 voti a favore e 158 contrari, inclusi gli esponenti Dem
Il voto si è svolto a scrutinio segreto. Le dimissioni dei parlamentari vengono quasi sempre respinte dal Parlamento quando vengono presentate la prima volta: in questo caso invece non è successo, ed è un fatto piuttosto insolito.
La decisione, preannunciata il 18 giugno scorso, è stata ufficializzata il giorno seguente con una lettera inviata a Roberto Fico in cui rendeva pubbliche le sue ragioni. “Signor Presidente della Camera dei deputati, a seguito della mia decisione di lasciare Forza Italia, il partito nelle cui liste sono stato eletto, rassegno le mie dimissioni dal mandato parlamentare”, scriveva Vito. “Mi auguro – aggiungeva – che questa decisione possa contribuire ad aiutare le giovani ed i giovani del nostro Paese a ritrovare il senso della fiducia nelle istituzioni, nel Parlamento e più in generale nella politica”.
La decisione, spiegava, è stata motivata, da “cose molto gravi che mi rendono impossibile continuare a militare in Forza Italia”. “La prima -elencava – riguarda le affermazioni di Berlusconi sull’aggressione russa dell’Ucraina che se da una parte sono state formalmente di condanna, dall’altra sono state elogiative di Putin, critiche verso le leadership occidentali e di comprensione verso presunte ragioni della Russia”.
Vito non nasconde il suo rammarico. “Eravamo un movimento aperto, liberale, innovatore e a tutela dei diritti civili, oggi siamo chiusi e oscurantisti. Al Pride, ad esempio, ho visto tantissimi giovani”. Gli stessi che, secondo Vito, con questo atteggiamento lasceranno per sempre il partito fondato da Silvio Berlusconi. “Avete visto quello che ha detto la consigliera di Forza Italia di Cesano Boscone? Che il Pride è un ritrovo di ‘schizoidi e disadatti’. Queste cose succedono in un partito liberale e nessuno prende provvedimenti? Questo linguaggio non ci appartiene e serve una presa di posizione ufficiale”.
Vito entrò nel 1992 con la Lista Pannella dei Radicali Italiani e passò a Forza Italia nel 1996. L’evento principale che ha portato alle dimissioni dal gruppo di una vita, dice, è stato il Ddl Zan, osteggiato e poi affossato anche da Forza Italia. È diventato in pochissimo tempo una sorta di militante per i diritti, ben voluto nonostante un passato ingombrante da volto duro e puro del berlusconismo.
Va da sé che oggi nessun politico posizionato a destra può vantare la sua popolarità tra le file dei Pride e delle manifestazioni di piazza arcobaleno. “Forse perché nessuno nel mio ex partito ci crede veramente. Quello che resta oggi di Forza Italia è un partito con un leader che non è libero e dirigenti intolleranti e dispotici interessati a perpetuare il loro piccolo potere”, ha dichiarato.
Ma lo strappo definitivo è arrivato dopo l’ultimo episodio di dissenso, ovvero l’apparentamento con i fascisti di Casapound al secondo turno delle elezioni comunali a Lucca. Ma la decisione di non sedere più in Parlamento negli scranni forzisti in casa azzurra ha avuto sviluppi inattesi. Un mese fa Vito ha lasciato la sua stanza negli uffici del gruppo, ma senza aderire al gruppo misto e conservando anche il ruolo di vicepresidente dell’assemblea.
Ha mantenuto così, fino a ieri, il ruolo di forzista dissidente fino a due giorni fa. Il massimo della scomodità – per un partito già tutt’altro che monolitico – ed evidentemente anche non sopportabile per lo stesso Vito, il quale ha dichiarato: “Ci rendiamo conto che sul Ddl Zan Forza Italia si è fatta dettare la linea dal senatore Pillon?”.
“So che per me non c’era più spazio, se non fosse stato così non mi sarei dimesso”, dice lui. Che non rinnega il suo passato da colonnello del Cavaliere: Ruby nipote di Mubarak? “Era più complicato”. La marcia sul tribunale di Milano? “C’ero, ma in disparte. Se lo rifarei? Dipende dal contesto”.
Della sua scelta di lasciare il Parlamento, tuttavia, si mostra orgoglioso e convinto.
“Visto come si fa?”, ha scritto in un messaggio pubblicato su Twitter e rivolto espressamente a tre leader di altrettanti partiti (o movimenti) dell’arco Parlamentare italiano: Matteo Renzi, Carlo Calenda e Luigi Di Maio. Insomma, chi si è “scisso” e non ha abbandonato la poltrona da deputato (o da altri incarichi istituzionali in Italia o in Europa). E oggi è arrivato il giorno in cui la Camera ha dato il via libera alle sue dimissioni, seppur con il voto segreto (cosa che ha fatto storcere il naso a molti). E lì, in Aula, è stata letta la sua lettera di addio alla politica parlamentare. Almeno per il momento, per questa legislatura.