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Europa, mangeremo carne coltivata o di laboratorio?

Politica e tecnologia spingono verso un’alimentazione basata sulla chimica. L’Olanda taglia gli allevamenti ed investe in carne sintetica Nel mentre...

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Politica e tecnologia spingono verso un’alimentazione basata sulla chimica. L’Olanda taglia gli allevamenti ed investe in carne sintetica

Nel mentre succede anche che l’Unione europea finanzia organizzazioni e laboratori per sostituire cibo con food di sintesi

Un processo particolarmente significativo è in corso in Europa da anni ma forse non ce ne siamo accorti del tutto. Ricordate? Già ad Expo Milano 2015 c’era il padiglione riservato al cibo del futuro.

E’ vero che nel 2050 saremo 9 miliardi, una folla mai vista molto difficile da sfamare per intero. E’ vero anche che continuare a produrre cibo come facciamo oggi significa contribuire ad uccidere la terra. Il cibo impiega tantissima acqua, e la siccità di questi mesi ce lo ricorda. Consuma suolo, toglie energia ed alcuni comparti producono tante emissioni quanto intere fabbriche. Expo voleva lanciare questo messaggio, “dobbiamo trovare una soluzione”.  Ma propose rimedi “naturali”; mangiare insetti, coltivare alghe, recuperare acque reflue, desalinizzare. Al limite, puntare sulla “decrescita”. Oggi la tecnologia ci porta ancora più avanti.

Perchè questo accanimento contro la carne? 

Il consumo di carne è sotto accusa, e giustamente. Per produrre un hamburger di 200 grammi servono 26.000 litri d’acqua, non è sostenibile. Oggi si stringe sempre di più il cerchio attorno alla zootecnia europea, e non solo, costretta a difendersi dall’avanzare del cibo sintetico, dai sostituti di origine vegetale e da campagne di informazione che puntano il dito sul comparto accusato di contribuire in maniera sostanziale alle emissioni di azoto. E se l’Europa a parole promette di difendere il comparto, nella realtà non fa sconti alcuni al settore. È vero poi che ci sono tante altre questioni collegate oggi; il costo dell’energia, di cui l’allevamento ha bisogno. Il blocco dei trasporti mondiali, che chiude taluni mercati. Insomma, il momento è favorevole per chi voglia proporre strategie alternative.

L’Olanda, primario produttore agricolo e allevatore di stampo mondiale, ha spesso anticipato mode, tendenze e conclusioni scientifiche. Il governo di Re Guglielmo Alessandro ha partorito una strategia per contrastare queste nocive tendenze derivanti dalla massiccia presenza di allevamenti sul suolo della Corona, ma il piano non piace per niente agli allevatori. “Gli obiettivi indicativi di riduzione dell’azoto per ciascuna area richiedono un intervento da parte dei settori dell’industria, dell’edilizia, della mobilità e dell’agricoltura il prima possibile. Il compito per l’agricoltura in particolare è enorme”, il pensiero, che non promette niente di buono, affidato ad una nota ufficiale.

“Il redditizio settore agricolo dei Paesi Bassi sta protestando contro una proposta , approvata a fine giugno dai legislatori, per ridurre le emissioni di inquinanti come l’ossido di azoto e l’ammoniaca del 50% entro il 2030”, spiega in un suo articolo il The Washington Post, illustrando la lunga serie di manifestazioni che sta colpendo il paese, da quelle sotto casa del ministro Christianne van der Wal al blocco delle autostrade fino agli scontri con la polizia. È chiara la matrice economica ma anche ideologica dello scontro; “una transizione radicale ma necessaria”, le parole del ministro della natura Van Der Wal, per la quale si prevedono riduzioni fino al 70% in alcune aree del paese, con inevitabili conseguenze per il comparto zootecnico. Il ministro dell’agricoltura, della natura e della qualità alimentare Henk Staghouwer vede tre opzioni per gli agricoltori: realizzare ulteriore sostenibilità, delocalizzare o porre fine all’attività.

Le azioni intraprese finora

Praticamente ciò viene visto come una sentenza di colpevolezza dal ricco comparto agricolo olandese, parte importante del pil nazionale: secondo una lobby agricola nazionale ci sono quasi 54.000 aziende agricole nei Paesi Bassi con esportazioni per un totale di 94,5 miliardi di euro nel 2019.

E se oggi si prevede una riduzione del bestiame del 30% occorre anche ricordare che, nei mesi passati, il governo olandese ha annunciato un finanziamento record di 60 milioni di euro per la carne coltivata, puntando così a diventare il paese leader nel campo dell’agricoltura cellulare. Il finanziamento rappresenta però solo un primo passo di un più ampio piano di crescita che prevede di investire 252-382 milioni di euro.

La proposta di finanziamento è stata avanzata da un consorzio – di cui fa parte il mondo accademico, industriale, scientifico e imprenditoriale, oltre ad alcune Ong- chiamato Cellular Agriculture Netherlands, con lo scopo di attuare il piano di crescita nazionale  ed elevare i Paesi Bassi a leader mondiale nell’agricoltura cellulare.

Ed è arrivata una prima investitura internazionale. “I governi interessati a raggiungere i propri obiettivi climatici, proteggere la salute pubblica e aumentare la sicurezza alimentare devono seguire l’esempio dei Paesi Bassi e investire nella ricerca e nelle infrastrutture necessarie per rendere queste opzioni alimentari sostenibili accessibili e accessibili in tutta Europa”, ha dichiarato Acacia Smith, policy manager del Good Food Institute Europe.

E il GFI è tra le organizzazioni più attive volte a promuovere il consumo di carne sintetica, muovendosi tra politica e industria per accelerare il processo che mira a sostituire il cibo di origine animale con quello di laboratorio. Tre le numerose collaborazioni risalta, come messo in evidenza dalla stessa GFI sul loro sito, quella con Eit Food, l’organizzazione cofinanziata e sostenuta dall’Unione Europea, che mira a guidare il cambiamento in campo alimentare e che ha al suo attivo progetti su carne sintetica e sostituti da proteine vegetali.

Collaboriamo con scienziati, aziende e responsabili politici per promuovere la carne a base vegetale e coltivata, rendendola deliziosa, conveniente e accessibile in tutta Europa. Producendo carne dalle piante e coltivandola dalle cellule, possiamo ridurre l’impatto ambientale del nostro sistema alimentare, diminuire il rischio di zoonosi e nutrire più persone con meno risorse”, questa la mission dell’istituto, come riporta la pagina dell’organizzazione.

Le aree di intervento su cui si muove il GFI sono tre: scienza (Collaborando con gli scienziati per sviluppare, finanziare e promuovere la ricerca sulla carne di origine vegetale e coltivata), politica (Incoraggiando i governi a investire nella ricerca e nelle infrastrutture sostenibili delle proteine ​​e a sviluppare una regolamentazione solida e trasparente) e industria (sostenendo l’industria alimentare per rendere disponibile carne vegetale conveniente in tutta Europa.  

Si accelera dunque nei fatti la transizione dal cibo di origine animale a quello sintetico, ad iniziare dai paesi leader nel campo come Israele (tramite l’azienda Remilk, con stabilimenti anche in Danimarca) e appunto l’Olanda (dai tagli all’agricoltura tradizionale fino agli investimenti pubblici nel settore dell’agricoltura cellulare), per arrivare a Singapore e agli Usa (con l’azienda Good Meat, che mira a sostituire la carne tradizionale con quella sintetica), fino al governo britannico che con la nuova strategia alimentare pubblicata il 13 giugno, prevede una vera e propria accelerazione nel campo delle proteine alternative con un investimento di 120 mln di sterline e l’impegno a rivedere le normative.

È chiara la necessità di un cambio di paradigma, ma ci chiediamo se la strada giusta sia questa. E soprattutto ci chiediamo se producendo cibo in questo chi oggi non ce l’ha (oltre 840 milioni di persone nel mondo, secondo il rapporto Sofi 2020) domani ci potrà fare affidamento o no. Questo tipo di ricerche, sperimentali ed iniziali, fa sorgere per il momento solo domande; chi ci guadagna? Cosa accadrà alla democrazia se perseguiremo su questa via?

 

 

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