I presidenti russo e turco hanno incontrato il loro omologo iraniano e la guida suprema della Rivoluzione Ali Khamenei
Al centro delle discussioni ci sono stati soprattutto i delicati equilibri siriani, mentre Mosca cerca di tessere una nuova rete di relazioni al di fuori del blocco euroatlantico
La compagnia di Astana
Il 19 luglio, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan, presidenti rispettivamente di Russia e Turchia, sono volati in Iran per il vertice trilaterale con il loro omologo Ebrahim Raisi. Il primo incontro, nondimeno, è stato quello tra Putin e l’ayatollah Ali Khamenei, che da parte sua ha auspicato l’intensificazione delle relazioni tra Mosca e Tehran, in particolare per arginare «l’inganno occidentale», sintetizzato nella visione strategica del Medio Oriente elaborata dal presidente statunitense Joe Biden, che la settimana precedente era volato in Israele, Palestina e Arabia saudita. Per la guida suprema della Rivoluzione iraniana, infatti, il presidente russo ha saputo salvaguardare l’indipendenza del proprio paese dagli Stati uniti e, se gli altri paesi intendono fare lo stesso, devono utilizzare le proprie valute per gli scambi commerciali. Una mossa che «escluderà il dollaro dal commercio mondiale», sia pure in modo graduale. Quanto all’Ucraina, per Khamenei non ci sono dubbi: se Mosca non avesse fatto la prima mossa, la controparte avrebbe provocato una guerra di propria iniziativa, probabilmente «usando la Crimea come pretesto». Nondimeno il principale terreno di confronto russo-statunitense, secondo Tehran, resta quello economico-finanziario, soprattutto perché sia la Russia, sia l’Iran sono colpite da sanzioni e restrizioni «occidentali». Al centro delle discussioni tra Putin e Khamenei, inoltre c’è stata la Siria, i cui delicati equilibri (orditi durante il lungo processo di Astana) rischiano di saltare dopo il recente annuncio da parte del presidente turco di una nuova invasione entro i confini di Damasco.
L’unica soluzione all’isolamento è il multilateralismo
Intanto, Russia e Iran, che negli ultimi anni hanno rafforzato la cooperazione tanto bilaterale, quanto con la Cina, cercano un’intesa anche nel settore energetico. Dall’inizio del conflitto ucraino, infatti, l’economia iraniana è stata colpita dal brusco calo delle esportazioni di petrolio all’Impero del Centro, che ha preferito acquistare greggio russo a costi inferiori. Poco prima dell’arrivo di Putin a Tehran, la National Iranian Oil Company (Nioc) e la russa Gazprom hanno siglato, in videoconferenza, un protocollo di intesa che prevede investimenti da parte di Mosca per circa 40 miliardi di dollari. Gazprom, in base all’accordo, dovrebbe sostenere lo sviluppo di due giacimenti di gas (Kish e North Pars) e sei di petrolio. Inoltre, la compagnia russa parteciperà nella Repubblica islamica, che ha le più consistenti riserve mondiali di oro nero dopo la Russia, a progetti per la produzione di gas naturale liquefatto e per la costruzione di gasdotti. Dopo Khamenei, inoltre, Putin ha incontrato il suo omologo Raisi, con il quale ha discusso soprattutto della necessità che Mosca e Tehran cooperino, non solo per preservare la stabilità mediorientale, ma anche per difendere la «sicurezza internazionale». Un concetto, peraltro, ribadito da entrambi dopo il vertice trilaterale con Erdoğan, che hanno esortato a desistere da un’incursione in Siria, poiché minaccerebbe l’integrità territoriale di Damasco e, di conseguenza, la stabilità regionale, spianando la via al terrorismo. Dichiarazioni interessanti alla luce da quanto riportato da alcune testate internazionali, come Middle East Monitor (riferendo notizie diffuse dall’agenzia Afp), riguardo un appello lanciato dalle Forze democratiche siriane (Fds) a Russia e Iran perché impediscano una nuova invasione turca. Del resto, la parola terrorismo, che a Tehran e a Mosca evoca i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico, ad Ankara rinvia alle Unità di difesa popolare curde (Ypg) e, per estensione, alle Fds.
Ankara mediatrice bifronte
Eppure, il vertice trilaterale con con Erdoğan e Raisi, è stato per Putin anche un’occasione per portare avanti i propri interessi strategici regionali, dal Medio Oriente al Caucaso, portando avanti un assetto geopolitico alternativo a quello di Washington. Dunque, mentre gli Usa storicamente hanno fatto leva sulla rivalità turco-iraniana sostenendo l’una o l’altra parte secondo le circostanze, Mosca sembra prediligere la strategia della cooperazione multilaterale, soprattutto nei settori strategici dell’economia. Ad esempio, oltre un mese prima della domanda iraniana di adesione ai Brics (presentata a fine giugno), la Russia aveva discusso con Cina e India della possibilità di includere anche Turchia, Egitto e Arabia saudita. Al contempo, Pechino e New Delhi sostengono l’aumento degli scambi commerciali tra l’Iran e il Consiglio di cooperazione di Shanghai. Con lo stesso spirito, da un lato il presidente russo ha accolto positivamente l’iniziativa di Ankara di proporsi come mediatrice per agevolare le esportazioni di grano ucraino, come in precedenza sostenuto dall’Organizzazione delle nazioni unite (Onu). Dall’altro, continua sulla linea del contenimento dell’espansionismo turco in Medio Oriente (Siria in primis) e Africa settentrionale (soprattutto in Libia). Intanto, di intesa con Pechino, cerca di includere Iran e Turchia in accordi di cooperazione. In tal senso andrebbero interpretate le manifestazioni di sostegno di Putin e Raisi a Erdoğan nella lotta al terrorismo, anche se quest’ultimo ha risposto di aspettarsi un impegno maggiore.