Mario Draghi non ha più la maggioranza.
Alla fine di una giornata “di follia”, come la riassume il segretario del Pd Enrico Letta, il non voto in Senato da parte del Movimento 5 Stelle e del “centrodestra di governo”, come hanno continuato a definirsi fino all’ultimo Lega e Forza Italia, certifica la fine delle larghissime intese.
Non c’è più quella unità nazionale che, nelle parole del premier in Aula, garantiva “legittimità democratica ed efficacia” all’esecutivo. La fiducia, tecnicamente, Draghi la incassa comunque da parte di Pd, Leu Ipf, il centro di Toti. Ma ottiene solo 95 sì. Un dato che lo porterà ad annunciare le dimissioni all’inizio del dibattitto sulla fiducia alla Camera per poi salire al Quirinale. Si apre così una fase di crisi con tempi rigidamente scanditi dalla Costituzione a partire da quelli per indire le nuove elezioni che, si discute già, potrebbero essere il 25 settembre o, più probabilmente, il 2 ottobre visto che la prima data coincide con la festività del Capodanno ebraico.
Il premier dimissionario ha preso atto con amarezza di un quadro logorato, consumato da risentimenti da un lato e voglia di urne e rivincita dall’altro. ll governo Draghi cade “tra rancori e profonde divisioni” e adesso resta incerto quel che attende l’Italia”, scrive il Washington Post in un articolo sulla crisi politica apertasi a Roma, richiamato in prima pagina. Le dimissioni del premier dopo che M5S, Lega e Forza Italia non hanno partecipato al voto sulla fiducia, “mettino fine a un periodo di relativa unità politica a Roma e destabilizzano la terza economia più grande dell’Unione Europea, di cui Draghi era ampiamente considerato un garante”, nota il giornale, e aggiunge che “per un anno e mezzo, il centrista Draghi ha guidato un governo ampio, da sinistra a destra, e ha padroneggiato la sua reputazione – costruita come l’ex primo banchiere centrale d’Europa – per aumentare l’influenza dell’Italia a Bruxelles e garantire con forza per una linea dura europea contro la Russia nella sua guerra in Ucraina”.
Il Parlamento europeo guarda con attenzione alla vicenda italiana: Iratxe Garcia Perez, capogruppo dei socialisti al Parlamento Europeo, ha espresso “preoccupazione per l’evolversi della crisi di governo in Italia” indicando “i populisti e il Partito popolare europeo come responsabili di questa situazione”. Gunnar Beck, europarlamentare tedesco del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, in un tweet si è rivolto all’elettorato tedesco. “Presto probabilmente i tedeschi dovranno salvare gli italiani. Visto quello che sta succedendo ci sembrerà di aver dato degli spiccioli alla Grecia 10 anni fa. Potrebbe essere l’inizio della fine”, ha dichiarato Beck riferendosi ai rischi per la sostenibilità del debito italiano in seguito alla caduta del governo Draghi.
“Il balletto degli irresponsabili contro Draghi può provocare una tempesta perfetta. Ora è il tempo di voler bene all’Italia: ci aspettano mesi difficili ma siamo un grande Paese”. Lo ha scritto il commissario Europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni in un tweet in seguito al voto di fiducia espresso dal Senato martedì sera nei confronti del governo guidato da Mario Draghi.
ln tutto ciò lo spread Btp-Bund schizza in avvio a 230 punti, oltre i livelli della Grecia, per ritracciare a 224 punti base poco prima delle 9 e quindi risalire a 239 dopo le dimissioni di Draghi. Il differenziale registra un aumento di circa 20 punti base rispetto alla chiusura di ieri. In tensione il rendimento del decennale italiano che prosegue la seduta sfiorando il 3,7%. Il tasso resta ben oltre quello del decennale greco (3,47%).
Il gioco politico però è già nelle mani di Mattarella. Due gli scenari possibili. Il capo dello Stato potrebbe accettare le dimissioni del premier e aprire le consultazioni per capire se esistono le possibilità di formare un nuovo esecutivo con le attuali forze parlamentari. Si tratta di una soluzione che sembra però difficile, visto che il Quirinale ha sempre sostenuto che il governo Draghi sarebbe stato l’ultimo di questa legislatura. Il secondo scenario, quello decisamente più probabile, è quello che vede Mattarella accettare le dimissioni di Draghi e, dopo aver incontrato i presidenti di Senato e Camera come prevede la Costituzione, sciogliere le Camere, spalancando così le porte a elezioni anticipate.
Devono però passare almeno 70 giorni dal giorno dello scioglimento. Difficile come data quella del 25 settembre, quando si celebra la festa ebraica di Rosh Hashanà: una sola volta nella storia repubblicana si è votato in coincidenza con festività religiose. Al Quirinale, intanto, si pensa a costruire un paracadute per l’Italia nei prossimi giorni, che si preannunciano assai complicati. Ma le elezioni politiche a ottobre 2022 significherebbero quasi certamente esercizio provvisorio di bilancio, ovvero una misura prevista dalla Costituzione a cui si ricorre nel caso in cui il Parlamento non sia in grado di approvare la nuova Legge di bilancio entro fine anno. In questo caso è concesso più tempo, fino a un massimo di quattro mesi.
Qualche momento di ulteriore riflessione, quindi, torna utile a tutti: il voto anticipato è davvero a un passo.