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Corte Costituzionale: urgente riformare il Job Act per dare più tutele contro i licenziamenti illegittimi

La Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla congruità delle indennità previste per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, ha dichiarato che...

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La Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla congruità delle indennità previste per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, ha dichiarato che la riforma della disciplina dei licenziamenti è indifferibile 

Già nel 2018 e nel 2020 la Corte Costituzionale aveva sanzionato il Job Act 

La Corte Costituzionale interviene ancora un volta sul Job Act. “E’ indifferibile la riforma della disciplina dei licenziamenti, materia di importanza fondamentale per la sua connessione con i diritti della persona del lavoratore e per le sue ripercussioni sul sistema economico complessivo”. Ha spiegato una nota della Corte. Il tribunale è stato chiamato a pronunciarsi rispetto alla congruità delle indennità previste per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese.

I giudici nella sentenza numero 183, pur dichiarando inammissibili le censure del Tribunale di Roma sulla materia, hanno lanciato un monito al legislatore per modificare la legge in modo da dare adeguate tutele. Nella nota la Consulta ha spiegato che un’indennità modulata secondo il criterio del Job Act, il quale prevede un risarcimento compreso tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità: “Vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda e non rappresenta un rimedio congruo e coerente con i requisiti di adeguatezza e dissuasività affermati dalle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 della stessa Corte” . Per la Consulta : “Il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti”.

Secondo la Corte Costituzionale infatti: “Tale criterio, in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, non è indicativo della effettiva forza economica del datore di lavoro e non offre neppure elementi significativi per determinare l’ammontare dell’indennità secondo le peculiarità di ogni singola vicenda”.

Le soluzioni della Consulta

I giudici, nonostante abbiano spiegato che il Job Act va modificato dal parlamento, hanno dato alcune soluzioni per dirimere la questione: la ridefinizione di un criterio distintivo basato sul numero degli occupati, l’eliminazione del regime speciale e la ridefinizione delle soglie. E hanno affermato che: “Il protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile“. Pertanto, la Consulta ha concluso dichiarando che se la questione venisse nuovamente presentata alla sua attenzione, provvederà direttamente.

I precedenti rilievi della Corte Costituzionale al Job Act

Non è la prima volta che la Consulta si pronuncia sulla riforma della legge sui licenziamenti. Nel 2018 la Corte aveva dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1 del DL 23/2015 nella parte in cui determinava in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato. Nello specifico per i giudici l’attribuzione di un indennizzo crescente basato unicamente sull’anzianità di servizio del lavoratore contrastava con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza e con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Il Governo Conte I aveva seguito i rilievi della Consulta solo in parte, modificando il numero delle mensilità da calcolare, ma non i criterio di conteggio.

Nel 2020 poi, la Corte Costituzionale ha compiuto una nuova censura in relazione ai casi di licenziamento illegittimo per vizi formali. I giudici hanno stabilito per questo tipo di casi che l’indennità non può essere basata solo sull’anzianità di servizio. In particolare è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 4 del Jobs Act che fissa: “L’importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”. Secondo la Corte Costituzionale il criterio è “rigido e automatico”, basato solamente sugli anni in cui il lavoratore ha prestato servizio nell’azienda in cui è stato assunto nel periodo di tempo preso in questione.

Marco Orlando

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