Dopo 18 giorni di sciopero indetto dagli indigeni, le parti si sono riunite in Ecuador per vertici tematici
A giugno le proteste degli indigeni avevano paralizzato il Paese, andando avanti per 18 giorni consecutivi fino al raggiungimento di un accordo con i rappresentanti di governo per sospendere le proteste e sedersi a un tavolo a discutere. Il primo accordo, raggiunto dopo 4 giorni in un clima di tensione, riguarda la moratoria del debito nelle banche pubbliche, private e cooperative. Si va avanti con gli altri tavoli tematici, ma in assenza del presidente Guillermo Lasso, che ha inviato dei delegati. Intanto il CONAIE rigetta le accuse di aver ricevuto soldi dal narcotraffico, mentre il partito Pachakutik chiede il processo per i ministri dell’Interno e della Difesa
Lo sciopero a oltranza contro il governo neoliberista e ultraconservatore del presidente ecuadoriano Guillermo Lasso, durato 18 giorni e indetto dalla Confederazione delle nazionalità indigene (Conaie), cui poi hanno aderito altre organizzazioni e singoli cittadini, si è risolto con una vittoria dei manifestanti, che hanno raggiunto un accordo con i rappresentanti di governo per sospendere le proteste. L’accordo prevede un termine di 90 giorni per valutare il rispetto degli impegni del governo. Il 30 giugno 2022, dopo 18 giorni di sciopero nazionale e rivolta indigena, le organizzazioni CONAIE, FEINE e FENOCIN hanno firmato un documento che stabilisce i risultati di quei giorni di resistenza, specificando i decreti e gli accordi cui il governo nazionale si deve impegnare a rispettare, tramite l’agenda in 10 punti presentata con le proposte del movimento indigeno e dei settori sociali. Sono così iniziati i tavoli tematici basati sui punti per cui gli indigeni protestavano. Ai tavoli c’erano il Ministro del Governo Francisco Eduardo Jiménez Sánchez, il Presidente della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE) Leonidas Iza Salazar, Eustaquio Tuala, Presidente del Consiglio dei Popoli e delle Organizzazioni Evangeliche Indigene dell’Ecuador (FEINE), Gary Espinoza per conto della Confederazione Nazionale delle Organizzazioni Indigene e dei Contadini Neri (FENOCIN); e Monsignor Alfredo Espinoza Mateus, nella sua qualità di Vice Presidente della Conferenza Episcopale Ecuadoriana. Il primo punto da affrontare era la moratoria del debito nelle banche pubbliche, private e cooperative, che si è risolto con un accordo dopo quattro giorni di negoziati. L’accordo si basa su quattro punti fondamentali: cancellazione del debito, ristrutturazione, rifinanziamento e riqualificazione dei debitori, nonché nuove linee di credito produttivo, nei settori bancari pubblici e privati. Il ministro del governo e capo della squadra negoziale dell’amministrazione nazionale, Francisco Jiménez, ha affermato che “sarà consentita soprattutto una maggiore accessibilità dei settori rurale e popolare a queste facilitazioni di credito”. Il presidente di BanEcuador, Iván Andrade, ha precisato che tra gli aspetti negoziati c’è il condono di crediti fino a tremila dollari, nonché il rifinanziamento di cittadini con debiti scaduti fino a 10mila dollari. Inoltre, 540 milioni di dollari saranno destinati alla base produttiva, di cui 200 milioni verranno sostituiti in un periodo di 30 anni con un tasso di interesse dell’uno per cento. Tuttavia, rispetto al tavolo tematico relativo alla destinazione dei sussidi ai carburanti, non è stato possibile raggiungere un consenso tra i rappresentanti del governo e il movimento indigeno. A seguito dell’accordo al tavolo delle Banche nei settori pubblici e privati, si inizierà a negoziare il tema dello Sviluppo Produttivo per poi proseguire con il tema del petrolio. Rappresentanti di altri settori sociali che non sono nei dialoghi con l’Esecutivo parlano delle soluzioni in sospeso che il Governo e le sue istituzioni hanno in merito alle loro richieste e annunciano: “Non abbiamo rinunciato al diritto alla resistenza e alla protesta sociale”, come ha affermato José Villavicencio, vicepresidente del Fronte Unito dei Lavoratori (FUT).
Guillermo Lasso il grande assente
Grande assente ai tavoli tematici è proprio il presidente Guillermo Lasso, che né nei giorni dello sciopero nazionale del giugno 2022, con le sue dichiarazioni pubbliche si è dedicato a screditare e diffamare il Movimento Indigeno e il diritto alla legittima protesta sociale, che ha generato il ripudio nazionale, dichiarando apertamente, l’8 luglio, che lo sciopero nazionale fosse finanziato dai narcotrafficanti, con ben 15 milioni di dollari. La risposta di Leonidas Iza, presidente della CONAIE, non si è fatta attendere: “Ai tavoli deve essere chiaro che lottiamo come popoli e nazionalità per un diritto, ma non legato ai processi che ci vengono accusati, come il traffico di droga”, ha sottolineato. La CONAIE ha subito respinto quanto affermato dal presidente Guillermo Lasso sul presunto finanziamento di “15 milioni di narcotraffico” per lo sciopero nazionale, denunciando che questo minaccia e stigmatizza la legittima protesta sociale, pur denotando la limitata visione del presidente di comprendere la realtà, le forme organizzative delle popolazioni indigene e il concetto di solidarietà così profondamente radicato nella lotta sociale, messo alle strette dalle figure del rifiuto della loro gestione e dell’incapacità di governare, lancia accuse false e irresponsabili aggravando lo sconvolgimento sociale e politico causato dallo stesso governo. Il ministro dell’Interno, Patricio Carrillo, ha persino voluto precisare un presunto importo compreso tra 750.000 e 800.000 dollari al giorno con cui i trafficanti di droga avrebbero finanziato lo sciopero nazionale di 18 giorni. La CONAIE ha denunciato questa accusa come terribile infamia, sostenendo che lo sciopero è durato 18 giorni per incapacità e mancanza di volontà del governo, ma non per alcun finanziamento. In tale contesto, il consiglio allargato della CONAIE del 12 luglio, tenutosi a Salasaca nella provincia di Tungurahua, ha deliberato su Carrillo:
“Chiediamo che il governo nazionale si assuma la responsabilità per l’uso eccessivo della forza repressiva contro la popolazione da parte della polizia e dei militari, che ha causato omicidi, feriti, arresti, persecuzioni e criminalizzazione; Chiediamo una riparazione completa per le vittime, la fine immediata della persecuzione e della stigmatizzazione dei leader e dell’intero movimento indigeno. Esortiamo l’Assemblea nazionale a portare avanti il processo politico al ministro dell’Interno, Patricio Carrillo, e al ministro della Difesa, Luis Lara, per essere direttamente responsabili della violazione dei diritti umani”.
Il partito Pachakutik chiede il processo per i ministri dell’Interno e della Difesa
Il partito Pachakutik dell’Ecuador ha annunciato martedì l’intenzione di mettere sotto accusa il ministro dell’Interno Patricio Carrillo e il ministro della Difesa Luis Lara per aver represso le recenti proteste nel paese. Durante i 18 giorni di sciopero nazionale, infatti, sei persone sono morte, 335 sono rimaste ferite, mentre sono state denunciate violazioni dei diritti umani e arresti forzati. “Tutti i funzionari pubblici, e ancor di più il ministro dell’Interno, hanno l’obbligo di rispettare e far rispettare la Costituzione e i trattati sui diritti umani legalmente ratificati dall’Ecuador”, ha dichiarato Mario Ruiz, legislatore di Pachakutik. Mario Ruiz ha accusato il ministro dell’Interno di eventi perpetrati dalle forze militari, come il raid all’Università Centrale dell’Ecuador, dichiarata Zona di Pace, e altri centri di raccolta per l’assistenza umanitaria. Anche la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador e la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana, entità che hanno anche chiesto lo sciopero e che stanno dialogando con il governo, hanno presentato una petizione simile facendo riferimento al Ministero dell’Interno. L’iniziativa si è basata sulle denunce di organizzazioni sociali come l’Unione Nazionale Educatori e il Fronte Popolare, che hanno assistito alle azioni della polizia contro i manifestanti e hanno partecipato allo sciopero nazionale svoltosi dal 13 al 30 giugno scorso, su appello del movimento indigeno. Per portare Patricio Carrillo e Luis Lara davanti alla Corte, queste organizzazioni devono ottenere 34 firme all’interno del Parlamento.