Amnesty International lancia la campagna “Proteggi la protesta”
Dalla Russia allo Sri Lanka, dalla Francia al Senegal, dall’Iran al Nicaragua, le proteste vengono represse violentemente dalla polizia o dall’esercito, demonizzando chi le organizza e vi partecipa e discriminando a seconda del genere o della razza. In Turchia, ad esempio, il Pride, manifestazione per i diritti LGBT+ non è permesso. La campagna “Proteggo la protesta” sfida i tentativi sempre più ampi e intensificati degli Stati di erodere un diritto fondamentale, quello di protesta, che sta subendo un attacco senza precedenti in ogni parte del mondo
Protestare diventa sempre più difficile. Dalla Russia allo Sri Lanka, dalla Francia al Senegal, dall’Iran al Nicaragua, dall’Ecuador a Panama, le autorità statali si stanno servendo di tutta una serie di misure per sopprimere il dissenso organizzato: leggi e provvedimenti che limitano il diritto di protesta, uso illegittimo della forza, espansione della sorveglianza illegale, di massa o mirata, chiusure di Internet e censura online, violenza e stigmatizzazione. I gruppi marginalizzati e discriminati vanno incontro anche a ulteriori ostacoli. Una serie di temi – come la crisi ambientale, la crescente disuguaglianza, la minaccia ai beni di sussistenza, il razzismo e la violenza di genere con carattere sistemico – hanno reso l’azione collettiva ancora più necessaria, ma sono manifestazioni che danno fastidio a chi governa, che le impedisce o le sopprime con la violenza. Numerosi governi, infatti, hanno introdotto leggi che impongono restrizioni illegittime al diritto di protesta. È stato il caso, ad esempio, dei divieti generalizzati di protesta, come accaduto in Grecia e a Cipro durante la pandemia da Covid-19. Nel Regno Unito è ora in vigore una legge che conferisce alle forze di polizia poteri assai ampi, come quello di vietare “proteste rumorose”. In Senegal, dal 2011 sono proibite le proteste nel centro della capitale Dakar, dunque vicino ai palazzi del governo.
Il diritto internazionale dei diritti umani – spiega Amnesty International – protegge il diritto di protesta attraverso una serie di norme contenute in vari trattati internazionali e regionali che, complessivamente, assicurano ampie protezioni alle proteste. Anche se il diritto di protesta non è codificato come un diritto a sé nei trattati internazionali, quando le persone prendono parte alle proteste, individualmente o collettivamente, esercitano tutta una serie di diritti che possono comprendere il diritto alla libertà d’espressione e il diritto di manifestazione pacifica. Tuttavia, governi di ogni genere stanno ricorrendo sempre di più ai poteri d’emergenza per stroncare il dissenso: è quanto successo, al culmine della pandemia, in stati come la Thailandia mentre nella Repubblica Democratica del Congo, nel maggio 2021, il governo ha imposto lo stato d’assedio nelle province di Ituri e Kivu Nord, conferendo estesi poteri all’esercito e alle forze di polizia.
“Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcune delle più grandi mobilitazioni da decenni a questa parte: Black Lives Matter, MeToo, i movimenti contro i cambiamenti climatici, che hanno ispirato milioni di persone a scendere in strada per chiedere giustizia razziale e climatica, uguaglianza, mezzi di sostentamento, fine della violenza e della discriminazione di genere. Ovunque, le persone si sono mobilitate contro la violenza e gli omicidi della polizia, la repressione di stato e l’oppressione”, – ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International – Quasi senza eccezione, la risposta delle autorità statali a questa ondata di proteste di massa è ostruttiva, repressiva e spesso violenta. Invece di creare le condizioni per esercitare il diritto di protesta, i governi stanno ricorrendo a misure ancora più estreme per stroncarlo. Ecco perché la più grande organizzazione mondiale per i diritti umani ha deciso di lanciare ora questa campagna. È tempo di reagire e ricordare a voce alta a chi sta al potere che il diritto di protestare, di reclamare, di chiedere un cambiamento liberamente, collettivamente e pubblicamente è inalienabile”, ha aggiunto Callamard.
La demonizzazione di chi protesta
In ogni parte del mondo, i governi giustificano le limitazioni alle proteste sostenendo che queste costituiscono una minaccia all’ordine pubblico e stigmatizzano le persone che vi prendono parte, definendole “provocatrici”, “rivoltose” o persino “terroriste”. Definendo in questo modo chi partecipa alle proteste, i governi giustificano strategie basate sulla “tolleranza zero”, ossia leggi repressive e dai contenuti vaghi, operazioni di ordine pubblico dal pugno di ferro e provvedimenti preventivi a scopo di deterrenza. Questo è stato l’approccio delle autorità di Hong Kong, attraverso la Legge sulla sicurezza nazionale, che porta con sé un’ampia definizione di “sicurezza nazionale”; e di quelle dell’India, mediante la Legge sulla prevenzione delle attività illegali e le accuse di “sedizione” contro manifestanti pacifici, giornalisti e giornaliste, difensori e difensore dei diritti umani.
La militarizzazione dell’ordine pubblico
Se non è una novità che i governi adottino tecniche d’intervento aggressive nei confronti delle proteste, negli ultimi anni è però risultato in aumento l’impiego della forza da parte delle forze di sicurezza. Le cosiddette armi meno letali – manganelli, spray al peperoncino, lacrimogeni, granate assordanti, cannoni ad acqua, pallottole di gomma – sono regolarmente impiegate, e male, dalle forze di sicurezza. Durante le proteste di massa che hanno fatto seguito al colpo di stato del febbraio 2021 in Myanmar, le forze armate hanno illegalmente usato la forza letale contro i manifestanti pacifici: oltre 2000 sono morti e più di 13.000 sono stati arrestati. Nell’ottobre del 2019 in Cile sono iniziate delle proteste per il costo della vita che hanno causato oltre 20 morti e reso ciechi ad un occhio o ad entrambi più di 400 persone. I carabineros puntavano volontariamente agli occhi per ferire i bulbi oculari. In Ecuador le proteste del giugno scorso hanno portato con sé la perdita della vita di 6 manifestanti. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, iniziando da Genova dove nel 2001 venne ucciso Carlo Giuliani e vennero sospese le norme della democrazia. È infatti dall’inizio degli anni Duemila che Amnesty International ha documentato la tendenza verso la militarizzazione della risposta dello Stato alle proteste, anche mediante l’impiego delle forze armate e l’uso di equipaggiamento militare. In stati come Cile e Francia le forze di sicurezza in pieno assetto antisommossa sono spesso accompagnate da veicoli blindati, aerei militari, droni per la sorveglianza, fucili e altre armi d’assalto, granate assordanti e cannoni sonori.
Diseguaglianza e discriminazione
Una violenza maggiore da parte delle forze di polizia e militari si basa sulla discriminazione per razza, orientamento sessuale, identità di genere, religione, età, disabilità, occupazione e status sociale, economico o migratorio. Sono loro le più colpite da provvedimenti restrittivi contro il loro diritto di protesta e affrontano una repressione più aspra. Ad esempio, le donne, le persone Lgbt+ e quelle di genere non conforme vanno incontro a violenza di genere, marginalizzazione, norme sociali e leggi repressive. In stati come Sudan, Colombia e Bielorussia le donne subiscono aggressioni sessuali durante le proteste. In Turchia il Pride, manifestazione per i diritti LGBT+, è vietato da anni.
L’appello di Amnesty International
“La nostra campagna arriva in un momento critico .- ha aggiunto Agnès Callamard – . Il prezioso diritto di protesta viene eroso a una velocità terrificante e dobbiamo fare tutto il possibile per impedire che ciò prosegua. Negli ultimi anni, sono state uccise tantissime persone che prendevano parte a proteste. È anche per loro che dobbiamo alzare le nostre voci e difendere il nostro diritto di dire la verità al potere, attraverso le proteste in strada e online”, ha concluso Callamard. Amnesty International ha lanciato quindi una nuova campagna globale, “Proteggo la protesta”, per sfidare i tentativi sempre più ampi e intensificati degli Stati di erodere un diritto fondamentale, quello di protesta, che sta subendo un attacco senza precedenti in ogni parte del mondo.