Il tour diplomatico del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in Africa, tra Egitto, Repubblica del Congo, Uganda ed Etiopia, è avvenuta quasi in concomitanza con una visita del presidente francese, mentre anche Washington invia i propri rappresentanti
Come alla fine del XIX secolo, il continente africano è di nuovo al centro della rivalità tra potenze
Mosca fa leva sull’anticolonialismo
Durante il suo viaggio diplomatico in Africa, dal 23 al 27 luglio, Sergej Lavrov ha più volte posto l’accento sulla mentalità colonialista degli Stati uniti e dei loro satelliti occidentali, presentando, al contrario, la Russia come baluardo del multilateralismo. In questa prospettiva, il capo della diplomazia russa ha letto la neutralità di molti paesi africani all’Assemblea generale delle Nazioni unite (Onu), in occasione del voto sull’attacco all’Ucraina, come un atto di autodeterminazione e di emancipazione dall’egemonia statunitense. Per la stessa ragione, da Addis Abeba, Lavrov ha assicurato il supporto di Mosca agli sforzi del governo etiope per stabilizzare la situazione interna dopo l’esplosione, a novembre 2020, del conflitto tra l’esercito federale e il Fronte di liberazione popolare del Tigray, da cui si può uscire solo con un «dialogo nazionale inclusivo». Nessun riferimento, invece, alla catastrofe umanitaria causata dagli scontri armati, cui si sono aggiunti i recenti massacri compiuti dal Fronte di liberazione oromo ai danni di civili di etnia amhara (sui quali Amnesty International ha chiesto un’indagine imparziale). Un altro argomento delicato affrontato da Lavrov durante la sua visita in Africa, la cui prima tappa è stata l’Egitto, è la questione alimentare. Un tema cruciale per il continente africano, in particolare per il Cairo, che ogni anno importa tra 11 e 13 milioni di tonnellate di grano, necessari per soddisfare circa la metà del suo fabbisogno nazionale. Inoltre, Lavrov e il suo omologo egiziano Sameh Shoukry hanno discusso dei conflitti in Siria e in Libia e della possibile adesione dell’Egitto ai Brics e all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Libia, Siria e Yemen, peraltro, sono state anche al centro dei successivi colloqui tra il segretario generale della Lega araba Ahmed Abu al-Gheit e il ministro degli Esteri russo, che nel suo discorso ai rappresentanti dei paesi arabi ha difeso le posizioni del Cremlino sulla guerra in Ucraina, negando le responsabilità russe nella crisi alimentare. Mosca, dunque, punta sul rafforzamento delle relazioni commerciali russo-africane, sostenendo al contempo la propria presenza militare attraverso la compagnia Wagner, che, in Africa, negli ultimi anni si è espansa in diversi paesi, tra cui Libia, Mali, Repubblica Centrafricana e Sudan. Parigi cerca di ripristinare la propria influenza La Francia, intanto, dopo aver assistito all’espansionismo economico cinese in quella che un tempo era chiamata Françafrique, tenta di evitare che la sua posizione in Africa sia ulteriormente ridimensionata dall’intraprendenza russa, che va dal settore della Difesa a quello commerciale. Così, alle accuse di Lavrov all’Europa di ostacolare le esportazioni di grano ucraino pur di mantenere le sanzioni ai danni di Mosca, il presidente francese Emmanuel Macron, impegnato dal 25 al 28 luglio in una visita diplomatica in Camerun, Benin e Guinea-Bissau, ha risposto che «cibo ed energia sono diventati armi da guerra per la Russia». Per questo, e per l’uso dell’informazione, Macron ha accusato il Cremlino di aver lanciato «un nuovo tipo di guerra mondiale ibrida», definendo inoltre la Russia «una delle ultime potenze imperiali coloniali» e il conflitto in Ucraina come «una guerra da XX secolo, se non da XIX». Il presidente francese, dunque, ha respinto al mittente le critiche di Lavrov all’Occidente colonialista, puntando il dito contro le «campagne di disinformazione» russe finalizzate a gettare fango su Parigi. Nondimeno, anche se dal punto di vista economico il peso di Mosca è due volte inferiore a quello della Francia (e dieci volte inferiore a quello della Cina), il presidente francese appare deciso a contrastare l’operazione diplomatica di Lavrov, accusando inoltre i paesi africani di «ipocrisia» per non essersi schierati contro la Russia in sede Onu. In Camerun, tuttavia, Macron, chiamato da un gruppo di partiti politici a riconoscere i crimini coloniali del passato, ha risposto lanciando un appello per avviare un «lavoro congiunto» di storici francesi e camerunensi e impegnandosi a desecretare gli archivi. Nel frattempo, il presidente francese intende voltare pagina dopo l’operazione Barkhane, terminata il 22 febbraio scorso e considerata da molti analisti come un fallimento.
Un altro fronte per Washington e Pechino
Dall’altra sponda dell’Atlantico, da parte loro, gli Usa non intendono restare a guardare. Negli ultimi giorni, infatti, la direttrice dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) Samantha Power si è recata in visita in Kenya e Somalia, mentre agli inizi di agosto è previsto un viaggio dell’ambasciatrice Usa all’Onu Linda Thomas-Greenfield in Ghana e Uganda. L’intenzione ufficiale è stanziare fondi per arginare le crisi umanitarie, come il pacchetto di aiuti (1,2 miliardi di dollari) per Etiopia, Somalia e Kenya annunciato dalla Power. In realtà, come il piano economico per l’Asia, così i cospicui aiuti ai paesi africani più colpiti dalla siccità e dalla crisi alimentare sono mirati a contenere l’intraprendenza finanziaria della Cina, che con l’Africa ha solidi rapporti sin dagli anni ‘60 del secolo scorso. Il 21 luglio, inoltre, sono iniziati i lavori dell’undicesimo vertice del forum Cina-Africa sulle nuove vie della seta (Belt and Road initiative, Bri) e sugli investimenti per lo sviluppo. Quattro giorni dopo, si è tenuto in videoconferenza il secondo incontro ministeriale Cina-Africa per la pace e la sicurezza. In entrambi i casi, Pechino ha concentrato l’attenzione sull’importanza di creare un futuro condiviso per una comunità sino-africana orientata a difendere la sicurezza comune. In sostanza, le tensioni internazionali tra Russia e Usa, sfociate, in Europa orientale, nella guerra in Ucraina, e tra Usa e Cina, per le quali il fronte più caldo è nel Pacifico (ruotando attorno alla questione di Taiwan), nel continente africano si caratterizzano, almeno per ora, in una corsa per attrarre quanti più alleati possibili, in vista non solo dello sfruttamento di materie prime fondamentali per il progresso tecnologico, ma anche dell’utilizzo geostrategico dei territori. Su Taiwan, intanto, il 28 luglio i presidenti cinese e statunitense, Xi Jinping e Joe Biden, hanno discusso telefonicamente per circa due ore, per placare le tensioni suscitate dall’annuncio del viaggio della portavoce della Camera dei rappresentanti Usa Nancy Pelosi a Taipei.