L’aereo di Nancy Pelosi ha appena toccato il suolo di Taiwan che già il mondo è spaccato tra chi ne difende la scelta e chi la reputa folle. Intanto la Cina intensifica le manovre militari.
All’alba del viaggio, l’ufficio stampa di Nancy Pelosi, la Speaker del Congresso degli Stati Uniti, aveva indicato come tappe Singapore, Malesia, Corea del Sud e Giappone senza menzionare Taiwan. Questo aveva inizialmente placato gli animi. Eppure si era largamente speculato su di una visita all’isola separatista e sul fatto che proprio Taipei fosse il reale obiettivo del tour asiatico (il quale era stato originariamente pianificato per l’aprile scorso ma rimandato dopo che la Pelosi era risultata positiva al Covid). L’arrivo di Nancy Pelosi a Taipei chiarisce ogni dubbio.
Sia il Pentagono che la Casa Bianca avevano a lungo cercato di dissuadere la Speaker del Congresso. Poco prima della sua partenza – in merito a una possibile tappa a Taiwan – Biden aveva dichiarato: “non una buona idea”.
Perché la visita causa tensione e apre una crisi diplomatica tra Washington e Beijing?
Innanzitutto, la Cina rivendica il diritto territoriale sull’isola della quale ha perso quando Chiang Kai-shek, il leader della fazione nazionalista cinese, l’aveva occupata con il suo esercito dopo la sconfitta contro i comunisti. Per decenni, gli Stati Uniti hanno difeso l’indipendenza dell’isola considerandola un punto strategico del Pacifico. Si teme che la Cina potrebbe utilizzare l’ “affronto” della visita della Pelosi come casus belli per riprenderne il controllo.
Si tratta di una situazione dagli equilibri delicati. Tra il 1955 e il 1980, Washington è stata legata con Taiwan dal Sino-American Defense Treaty, un trattato con il quale garantiva la difesa dell’isola in caso di attacchi militari da parte della Cina. Parte del contentuto di quel trattato fu poi integrato nel Taiwan Relation Act del 1979, siglato dopo il riconoscimento ufficiale da parte degli Stati Uniti della Repubblica Popolare Cinese. Sebbene questo susseguente accordo non contenga l’obbligo di supporto militiare a Taiwan da parte degli USA in caso d’invasione, non lo esclude neanche. L’accordo si fonda sulla base del mantenimento dello Status Quo e intende prevenire decisioni unilaterali. L’atto afferma che “gli Stati Uniti metteranno a disposizione di Taiwan tali mezzi per la difesa e servizi di difesa nella quantità necessaria per consentire a Taiwan di mantenere sufficienti capacità di autodifesa” e “manterranno la capacità degli Stati Uniti di resistere a qualsiasi ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione che metterebbero a repentaglio la sicurezza, o il sistema sociale o economico, del popolo di Taiwan”.
Secondo il portavoce della Pelosi, il viaggio ha lo scopo di definire patti di mutua collaborazione tra Paesi in merito alla sicurezza, l’economia e la governance democratica nella regione indo-pacifica.
È chiaro che, visita a Taiwan o meno, il viaggio della Pelosi non era gradito alla Cina che ritiene l’operato degli USA nell’egemonizzare i Paesi di quella regione (secondo politiche liberali e atlantiste) come un’interferenza in un’area nella quale intende invece porsi come principale punto di riferimento. Taiwan, ovviamente, è il fulcro del contenzioso. Proprio per questo, la visita di Nancy Pelosi, come affermazione degli intenti degli Stati Uniti, ha causato un braccio di ferro tra le due potenze. Rinunciare, per Washington, avrebbe significato sottostare alle minacce di Beijing; d’altra parte, andare potrebbe spalancare le porte a una crisi ed un conflitto di proporzioni maggiori di quello correntemente in Ucraina.