Fine vita, Marco Cappato si auto-denuncia: “Ho aiutato Elena a morire”

Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, il radicale Marco Cappato, è uscito dalla caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine, a Milano.

Si è appena autodenunciato per aver accompagnato la signora Elena, una donna di 69 anni della provincia di Venezia affetta da una grave patologia oncologica, al suicidio assistito in Svizzera.

Cappato, ora nel registro degli indagati a Milano per aiuto al suicidio, ha spiegato alla stampa: “Oggi mi reco alla caserma dei carabinieri per raccontare l’aiuto fornito a Elena, senza cui non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera. E spiegherò ai Carabinieri che per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato o se c’è la reiterazione del reato. O se c’è discriminazione come noi riteniamo tra malati”.

Il primo agosto Cappato si trovava in Svizzera per dare seguito alla richiesta di aiuto ricevuta da parte della signora, che aveva chiesto di essere accompagnata nel Paese elvetico per potere accedere legalmente al suicidio assistito.

In un video-messaggio, la donna aveva espresso chiaramente l’intento di porre fine alla sua esistenza: “Mi sono trovata davanti a un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all’inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda”.

La donna è riuscita a portare a termine la sua volontà: “Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa – ha aggiunto – tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola” 

Nel 2020, Cappato era stato assolto a Massa per avere aiutato a morire Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, non tenuto in vita da macchinari ma che riceveva medicine di sostegno.

Per Marco Cappato si tratta di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non è “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 2422019 della Corte costituzionale sul caso CappatoDj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia. In Italia, infatti, proprio grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani (sentenza 242 della Corte costituzionale) il suicidio assistito è possibile e legale in determinate condizioni della persona malata che ne fa richiesta (persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale). Cappato rischia dunque fino a 12 anni di carcere per l’accusa di aiuto al suicidio.

“A noi come associazione Luca Coscioni pare evidente che c’è una discriminazione costituzionale tra malati”, spiega Cappato, secondo il quale c’è discriminazione tra malati come Elena, che non possono accedere al suicidio assistito, e poi ci sono quelli che, come Federico Carboni, “sono dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, lo possono fare pur con molte difficoltà”. “È un trattamento discriminatorio contro un certo tipo di malati rispetto ad altri, che faticherei a definire privilegiati, ma che almeno hanno questa faticosa, tenue, possibilità di ridurre le proprie sofferenze nella fase terminale della loro vita”.

Spiega sempre Cappato, “la signora Elena era una malata oncologica con metastasi in fase avanzata, ma ancora non era sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. In base alla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato-Antoniani, un italiano può accedere al suicidio medicalmente assistito, ma deve avere delle condizioni specifiche”. Lo ha spiegato l’avvocato di Marco Cappato e segretario dell’associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, davanti alla stazione Duomo dei carabinieri per l’autodenuncia del suo assistito. Le caratteristiche necessarie per l’avvio della procedura sono “una patologia irreversibile, la piena capacità di auto determinarsi, sofferenze e trattamento di sostegno vitale. Elena ancora non era nella fase del sostegno vitale, quindi mancava una condizione”. “Lei – ha proseguito il legale – ha quindi scelto di andare in Svizzera, non ha proprio presentato richieste in Italia e ha contattato il numero bianco dell’associazione per prendere contatti con Marco Cappato, in quanto non voleva coinvolgere la propria famiglia”.

Alla domanda se è disposto ad andare in carcere, lo storico esponente del Partito Radicale risponde così: “Sono pronto ad affrontare le conseguenze di questo gesto ma la speranza è che se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule di tribunale riconoscere un diritto fondamentale come questo”.

La vicenda di Cappato sarà seguita dall’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni. Appare evidente che questa delicatissima materia ha bisogno di essere considerats in tutta la sua complessità e senza preclusioni ideologiche. Ci auguriamo vivamente che il prossimo parlamento si mostri in grado di farlo.

Giulia Cortese

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