Cina, Taiwan, Stati uniti, Giappone: richiami diplomatici

Gli Stati uniti rinviano un test missilistico per non aggravare le tensioni sul fronte del Pacifico, ma dopo la condanna del segretario di Stato Antony Blinken delle esercitazioni militari cinesi, Pechino interrompe la cooperazione militare e sul clima

Intanto, il Giappone si trova impegnato in delicati equilibri diplomatici, sia con la Cina, sia con la Russia

Effetto farfalla

Continuano le incursioni dei caccia e delle navi da guerra da parte della Cina oltre la linea mediana dello stretto di Taiwan, nel quadro delle esercitazioni militari mirate lanciate dopo la visita di Nancy Pelosi sull’isola, mentre Pechino il 5 agosto ha sospeso i canali di comunicazione militari regolari e la cooperazione in materia di cambiamento climatico con gli Stati uniti. Una decisione presa dopo le aspre critiche rivolte da Antony Blinken all’Impero del Centro per la sua reazione «sproporzionata» e «provocatoria» nei confronti di Taipei, il cui ministero della Difesa denuncia che, nella giornata del 5 agosto, 49 caccia cinesi sono entrati nella zona di identificazione della difesa aerea taiwanese, mentre 30 hanno oltrepassato la linea mediana dello stretto di Taiwan. Anche il ministero della Difesa giapponese, inoltre, il 5 agosto ha denunciato la caduta di cinque missili cinesi nella propria zona economica esclusiva, nella prefettura di Okinawa. Lo stesso giorno, inoltre, Pechino ha richiamato gli ambasciatori dei paesi del G7 (Usa, Canada, Gran Bretagna, Unione europea, Germania, Canada, Francia, Italia e Giappone), i cui ministri degli Esteri avevano espresso preoccupazione per le manofre militari nello stretto di Taiwan. «Non c’è giustificazione all’utilizzo di una visita come pretesto per azioni militari aggressive», avevano spiegato, esortando la Cina a non tentare di cambiare con la forza lo statuto di Taipei ma a ricorrere al dialogo. Particolarmente dura è stata la reazione cinese nei confronti del Giappone, con il quale Pechino ha annullato l’incontro bilaterale a margine del vertice dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) di Phnom Pehn. L’incontro, infatti, cui hanno partecipato, oltre ai membri dell’Asean, altri dieci paesi, tra cui Giappone, Cina, India, Corea del Sud e Russia, è stato un’occasione per gli Usa per delineare un possibile blocco asiatico di contenimento della proiezione di potenza cinese, ragion per cui Pechino e Washington hanno rifiutato colloqui bilaterali diretti.

Tokyo: luci della ribalta

Del resto, dall’esplosione del conflitto in Ucraina, le tensioni tra le due potenze rivali si sono acuite. Tanto più che Washington sembra discostarsi progressivamente dall’ambiguità strategica che caratterizza da decenni la sua politica di una sola Cina, come lascia intendere la scheda informativa sulle relazioni tra Usa e Taiwan, modificata lo scorso maggio dal Dipartimento di Stato. In particolare, sono state espunte le parti sul riconoscimento di Pechino come unico governo legittimo della Cina e sull’impegno di Washington a non sostenere l’indpendenza dell’isola, mentre è stato sottolineato il ruolo di Taipei come alleato fondamentale nell’Indo-Pacifico. Un cambiamento di rotta che era stato, d’altronde, auspicato dall’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe. Tokyo, dunque, potrebbe essere per Washington l’anello chiave negli equilibri dell’Indo-Pacifico, anche perché è impegnata nel contenere l’ascesa geostrategica non solo della Cina ma anche della Russia, soprattutto dopo l’interruzione dei negoziati sullo statuto delle isole Curili. Con Mosca, tuttavia, il Giappone intrattiene anche relazioni proficue. Con la compagnia russa Gazprom, ad esempio, le società giapponesi Mitsui e Mitsubishi sono impegnate nel progetto Sakhalin-2, per la produzione di gas naturale liquefatto (gnl) e, a differenza di altri operatori stranieri come la Royal Dutch Shell, hanno aderito alla nuova società istituita il 4 agosto dal Cremlino, in linea con il decreto presidenziale di giugno. Su invito del governo giapponese, dunque, Mitsui e Mitsubishi non intendono abbandonare un progetto strategico per la sicurezza energetica del paese, pur avendo tagliato il valore nominale delle loro partecipazioni. Ma la disputa russo-nipponica sulle isole Curili rappresenta per gli Usa una leva significativa per stabilire un’alleanza con Tokyo nell’Indo-Pacifico. Eppure, nonostante le espressioni di sostegno nei confronti di Taipei, Washington non appare disposta a rischiare di spingere le relazioni con Pechino fino alla rottura definitiva, come dimostra la decisione di rinviare il test, da tempo pianificato, sul missile balistico intercontinentale Minuteman III. «Mentre la Cina si lancia in esercitazioni militari destabilizzanti attorno a Taiwan, gli Usa adottano invece il comportamento di una potenza nucleare responsabile, riducendo i rischi di errori di calcolo e percezioni distorte», ha spiegato il portavoce della Sicurezza nazionale statunitense

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