(Dis)ordini mondiali. Il terrorismo islamico oltre Ayman al-Zawahiri

La nascita del cosiddetto Stato islamico tra Iraq e Siria ha fondato un terzo modello di militanza armata terroristica che si autoproclama come baluardo dell’islam, alternativo a quelli dei talebani e di al-Qaeda

L’uccisione dell’ex capo della «Base», secondo alcuni in declino, avrà probabilmente scarse ripercussioni sul terrorismo di matrice islamica

Il visconte dimezzato

In molti si sono domandati se la morte dell’ex capo di al-Qaeda, la base, Ayman al-Zawahiri, per mano di un drone statunitense, a Kabul, abbia assestato un duro colpo al terrorismo islamico internazionale. In effetti, al-Zawahiri era a capo dell’organizzazione responsabile della pianificazione e dell’esecuzione degli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati uniti sin dalla morte di Osama bin Laden: una formazione strutturata e fortemente gerarchica, la cui guida, quindi, ha un ruolo essenziale, non solo per dettarne la linea e indicarne gli obiettivi, ma anche per garantirne l’unità e la coesione. Pertanto, alcuni analisti, come Ibrahim al-Marashi di al-Jazeera, giudicano poco probabile che la morte di al-Zawahiri avrà ripercussioni così gravi, ritenendo piuttosto che sarà presto ridotta ad «affare ordinario», non solo per l’organizzazione in sé, ma anche per i talebani e per gli Usa. Anzitutto, perché la defunta guida, nell’arco di un decennio, aveva fatto in modo che al-Qaeda sopravvivesse alla sua morte. In secondo luogo, essendo uno dei pilastri dell’organizzazione sin dalla sua fondazione, durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979-1989) e la conseguente insurrezione dei mujahidin, vi apportò l’esperienza della militanza tra i Fratelli musulmani, cui al-Zawahiri si unì a 14 anni. Da questa, infatti, trasse l’idea di fare dell’islam la fonte di ispirazione ideologica per una globalizzazione alternativa a quella portata avanti negli anni ‘90 del secolo scorso dagli Usa, e da imporre con il ricorso alle armi. Dai takfiriti, invece, ossia da quei gruppi che definiscono legittimo uccidere non solo i nemici esterni, ossia «sionisti» e «occidentali» (riferimenti, rispettivamente, allo Stato di Israele e agli Usa), ma anche i musulmani non considerati ortodossi, in particolare gli sciiti. Secondo al-Zawahiri, dunque, lo sciismo è una «scuola religiosa fondata sull’eccesso e sulla menzogna», mentre l’Iran, secondo un suo video del 2008, ha collaborato con Washington durante le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Tuttavia, gli attacchi terroristici contro musulmani sciiti erano solo un diversivo rispetto alla vera guerra, da condurre contro gli Usa e Israele. Per questo, nel 2006, ruppe con il ramo iracheno di al-Qaeda, guidato da Abu Mussab al-Zarqawi, che, al contrario, era maggiormente impegnato contro i nemici interni sciiti (che in Iraq sono oltre il 60% della popolazione).

Militanza postmoderna

Un altro duro colpo, peraltro, è stato inferto ad al-Qaeda dalla nascita e dall’ascesa dei cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico, noti come Isis o Daech, nati dal ramo iracheno della Base già nel 2006, con il nome di Stato islamico dell’Iraq. Dal 2014, quindi, dopo la nomina alla sua testa di Abu Bakr al-Baghdadi, il gruppo si è espanso in Siria, con il nome di Stato islamico dell’Iraq e del Levante, fino a proclamarvi un califfato islamico. Le sue conquiste territoriali, d’altronde, erano state rese possibili anche dalla fusione con al-Nusra, considerato fino ad allora la branca siriana di al-Qaeda. Al-Zawahiri, invece, si era espresso contro la fusione, ordinando lo scioglimento di Daech (pur avendo chiesto ai gruppi di al-Nusra che volevano l’autonomia di smettere di colpirlo), ma al-Baghdadi aveva rifiutato, proseguendo la sua ascesa lungo tre direttrici. La prima all’interno della stessa Siria, dove numerosi combattenti islamici che un tempo facevano riferimento ad al-Qaeda hanno iniziato ad affiliarsi ai cartelli del jihad. La seconda direttrice, quindi, ha portato Daech a conquistare terreno anche in Libia, implicandosi negli equilibri tribali, mentre la terza è la nascita di cellule indipendenti in Europa. In realtà, quest’ultimo aspetto differenzia nettamente al-Qaeda e la sua struttura gerarchica, a Daech, che, mentre in Iraq, Siria e Libia aveva puntato alla conquista delle più ampie porzioni di territorio per imporvi uno Stato islamico, in «Occidente» sembrava piuttosto canalizzare sentimenti come la disperazione sociale o i traumi socio-culturali e individuali, soprattutto tra le seconde generazioni di migranti, non necessariamente emarginati dalla collettività, né economicamente disagiati. Di conseguenza, un qualsiasi attentato, non per forza eclatante come quelli avvenuti in Francia, nella redazione del periodico satirico Charlie Hebdo o al Bataclan, può diventare emblema, mediante rivendicazione sul web, delle battaglie di Daech. In sostanza, un qualsiasi individuo anche classificato come «mentalmente instabile» può assurgere a militante dell’organizzazione.

Terrore d’altri tempi

Quanto all’Afghanistan, dove i combattenti di al-Qaeda, dopo aver partecipato alla resistenza locale contro l’armata sovietica, hanno ricevuto copertura dai talebani (pretesto dell’invasione statunitense del paese), la formazione di al-Zawahiri ha trovato in questi ultimi un alleato alla pari, più che un affiliato. Gli studenti coranici (questo è il significato della parola talebani), infatti, hanno preferito mantenere la propria autonomia e concentrare i propri sforzi per la conquista del potere in Afghanistan, piuttosto che aderire alla guerra globale di al-Qaeda. Nondimeno, la rete al-Haqqani, gruppo terroristico afghano alleato dei talebani ma con strette relazioni con la Base (il suo fondatore Jalaluddin Haqqani ebbe rapporti anche con bin Laden, sin dalla fine degli anni ‘70), ha garantito una certa armonia tra le due formazioni maggiori. Del resto, come i talebani, al-Qaeda rappresenta un modello di guerra ideologica globale tipico del XX secolo, ma che trova terreno poco fertile nell’XXI. Inoltre, a differenza degli studenti coranici, che, ripiegati sulla battaglia per il potere in Afghanistan, non hanno preteso di estendere la propria portata in «Occidente», la Base è maggiormente esposta ai colpi inferti dai processi storici che hanno sgretolato le ideologie. In altri termini, a erodere l’organizzazione, più dell’uccisione del suo capo, è stato l’emergere di modelli di terrorismo islamico scevri dalle grandi elaborazioni teoriche e religiose, che hanno conformato la propaganda alle dinamiche del marketing più che alle trattazioni giuridiche e spirituali degli esperti. Un terrorismo, insomma, prêt-à-porter e con una spiccata vocazione per le reti sociali.

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