Salvo clamorose sorprese, sempre possibili quando si tratta di elezioni politiche in un paese democratico e particolare come l’Italia, Giorgia Meloni – leader di una formazione politica dal nome bello ed impegnativo perché comune all’inno nazionale italiano – potrebbe trionfare con un certo margine di successo alle prossime elezioni parlamentari del 25 settembre 2022, rese necessarie dalle dimissioni di Mario Draghi che hanno posto bruscamente fine al governo di larghe intese.
In base agli ultimi recenti sondaggi elettorali, Fratelli d’Italia, il partito di cui la Meloni è leader da quasi 10 anni, dovrebbe risultare il primo nella coalizione di centro destra dopo essere passato, sotto la sua guida e nel giro di pochi anni, dal 4% di partenza all’attuale 24% nel gradimento degli italiani. Questo progressivo aumento per la Meloni del margine di gradimento da parte degli elettori coincide con una correlativa perdita di consenso in capo a Matteo Salvini, il quale oggi è al 12%, ma ha rotto qualcosa nel rapporto privilegiato che aveva abilmente intessuto con una parte degli elettori di centro destra, soprattutto, quando, da Ministro degli Interni nel primo governo di Giuseppe Conte, aveva toccato quota 34%, il massimo da quando aveva assunto la leadership della Lega che, in diverse mani, era sprofondata al minimo storico del 4%.
Sempre secondo i più recenti sondaggi, anche il Partito Democratico guidato da Enrico Letta è in crescita rispetto al trend del suo predecessore Nicola Zingaretti, per cui il PD si è propone oggi come secondo partito a livello nazionale con il 22% di potenziale gradimento. Appena iniziata la campagna elettorale, il segretario del PD ha subito lanciato la sfida direttamente alla Meloni siglando un accordo politico elettorale con un paio di “partitini” di estrema sinistra, Verdi e Sinistra Italiana che, ad oggi, hanno più parlamentari che elettori nel nostro paese, ma, sin dai tempi in cui la sinistra era retta da un comunista illuminato come Enrico Berlinguer fino ad arrivare ai nostri giorni in cui è guidata da persone non di pari valore, la sinistra non ha mai superato la soglia del 30% nel gradimento elettorale per cui è evidente che la maggioranza degli italiani non è di sinistra e le speranze di Letta e soci dovrebbero essere vicine allo zero considerato che, sempre secondo i sondaggi, la coalizione di centro destra dovrebbe superare la soglia del 45%. Questo permette di comprendere la brusca e apparentemente immotivata interruzione del patto politico stipulato appena 4 giorni addietro da Enrico Letta con il leader di Azione, l’ex ministro del PD Carlo Calenda, il quale potrebbe aver capito il rischio di schierarsi in una colazione potenzialmente perdente, sganciandosi e provando a fare esternamente da “arbitro”.
Tornando alla Meloni, va rilevato che è stata nominata leader di un partito che non ha storicamente nel proprio dna il conferimento di particolare centralità alle figure femminili nei ruoli di comando e questo aspetto rende il suo partito un po’ più maturo ed “europeo“ di quanto non gli venga riconosciuto dai media nostrani. In effetti, soprattutto il PD e gli altri partiti di sinistra – almeno a chiacchierare – vorrebbero conferire alle donne maggiore centralità e compartecipazione ai ruoli di vertice del paese sia in politica che nella società civile. Curiosamente a sinistra i partiti non hanno leder politici donna e la lungimiranza di FDI potrebbe premiare la Meloni facendola addirittura diventare la prima donna a governare l’Italia, sia grazie a se stessa perché ha saputo imporsi all’attenzione degli elettori, soprattutto, nell’ultimo triennio, ma anche grazie a coloro che, a suo tempo, le diedero fiducia individuandola come leader. La Meloni ha già una precedente esperienza di governo essendo stata ministro della gioventù dal 2008 al 2011 e proprio nell’ottobre del 2011, ospite della convention organizzata dalla “Nother Italian American Foundation” a Washington, tenne un lungo discorso innanzi ad una platea favorevolmente colpita dalla sua notevole dimestichezza con la lingua inglese “tecnica”. Quindi, almeno per quanto riguarda la conoscenza dell’inglese, Giorgia Meloni non è seconda a Mario Draghi, il quale rimane un grande banchiere, ma ha dimostrato di essere politicamente un po’ acerbo non avendo digerito il fatto che la politica non lo abbia mandato al Quirinale dopo avergli dato la possibilità di guidare il governo di larghe intese, da lui accettato forse anche in previsione di una possibile scalata al colle più alto. Draghi ci teneva a salire al Quirinale per chiudere trionfalmente la sua carriera “politica”, ma è rimasto sostanzialmente “intrappolato” a Palazzo Chigi, forse anche perché potrebbe essersi fidato un po’ troppo, non riconoscendolo come tale, di qualche potenziale competitor per la corsa al Quirinale che gli ha proposto di fare il premier ben sapendo che non avrebbe potuto facilmente liberarsi dalla “trappola”. Mario Draghi forse avrebbe dovuto fare meglio i suoi calcoli analizzando lo sfasamento temporale tra la data di chiusura della legislatura e la data di rinnovo del Quirinale. Puntualmente, alla prima occasione utile, Draghi ha abbandonato la partita approfittando della clamorosa ingenuità di Giuseppe Conte che ha ritirato l’appoggio al governo del Movimento 5 Stelle nel percorso di approvazione parlamentare del decreto “crescita”. Dopo la mancata elezione a presidente della repubblica, Draghi si è dimostrato non del tutto a proprio agio, ma la cosa non deve sorprendere più di tanto perché, anche una persona estremamente navigata come lui ma con scarsa dimestichezza in politica, può avere qualcosa da imparare dalle trappole e dai tradimenti di cui è costellata la politica. Anche il mondo bancario da cui proviene non è sicuramente da meno, ma la politica è in condizioni di riservare sorprese perfino a vecchie volpi come lui.
Se Fratelli d’Italia dovesse vincere le elezioni come primo partito della coalizione di centro destra al termine della competizione, la Meloni sarà inevitabilmente presidente del consiglio con buona pace di tutti i vari “poteri forti” o “meno forti” che possano provare a mettersi di traverso. In un eventuale gabinetto Meloni, il Ministro della Giustizia sarà quasi sicuramente Carlo Nordio, ex magistrato molto ascoltato da tutto il centro destra e già candidato al Quirinale proprio da Fratelli d’Italia. Si tratta di una persona perbene e di un magistrato garantista ed è auspicabile che nei primi 3 mesi dal suo insediamento faccia approvare un disegno di legge per introdurre un sistema di responsabilità del giudice nei settori civile, penale e disciplinare che metta finalmente al riparo i cittadini da quelle “decisioni giudiziarie che contrastano con lo stato di diritto e rovinano la vita delle persone”, come autorevolmente ed allarmisticamente sottolineato dal presidente della repubblica Sergio Mattarella nel secondo discorso di insediamento dello scorso febbraio in cui ha impietosamente descritto lo stato attuale del sistema giudiziario, ben al di delle “chiacchiere” di qualche magistrato perennemente in TV che non ha ancora realizzato che la giustizia italiana è diventata del tutto inaffidabile in assenza di puntuali norme di legge che delimitino le responsabilità.
Se la Lega dovesse risultare il secondo partito della coalizione, come attualmente prospettano i sondaggi, Matteo Salvini sarà molto probabilmente vicepremier e Ministro dell’Interno, ruolo in cui ha già operato bene durante il governo Conte I, avendo mantenuto una linea ferrea sia nei decreti “sicurezza” e sia contro l’immigrazione clandestina, anche se ci sarà qualche procura della repubblica che proverà a mettergli i bastoni tra le ruote.
Inoltre, il delicato compito di Ministro della Difesa potrebbe toccare ad uno dei vertici di FLI più ascoltati da Giorgia Meloni, vale a dire l’ex presidente della provincia di Salerno, della Commissione Difesa del Senato ed attuale Questore della Camera dei Deputati, Edmondo Cirielli, uomo delle istituzioni unanimemente riconosciuto come una persona perbene che rinuncio’ all’incarico di relatore di un disegno di legge perché non si riconosceva del tutto in una discussa riforma della prescrizione passata alla storia proprio come la cd legge “Ex Cirielli”.
Parte della stampa, rigorosamente di sinistra, sia italiana che estera, ha individuato nella Meloni un “rischio” per la democrazia, ma, in realtà, non c’è proprio nessun rischio a votarla e si tratta solo di propaganda politica per dissuadere a non votare l’attuale schieramento di centro destra, composto da una classe dirigente sicuramente migliorabile, come tutte le cose del mondo, ma che, una volta eletta democraticamente, governerà il paese senza particolari forzature costituzionali, come già accaduto in passato. Anzi, la consistenza numerica del nuovo parlamento ridotta dal referendum approvato di recente potrebbe finalmente permettere al legislatore di migliorare la costituzione repubblicana che, contrariamente a quanto fingono di credere i nostalgici, è la causa principale della mancata crescita del paese, avendo disegnato un governo “ostaggio” del parlamento, poiché l’esecutivo è notoriamente obbligato ad avere la fiducia delle Camere per poter nascere e, soprattutto, per poter sopravvivere. Questo meccanismo ha comportato che la volontà popolare sia stata spesso tradita da giochi di palazzo che, sebbene costituzionalmente legittimi, hanno sostanzialmente finito con il sovvertire la scelta degli elettori nell’urna proprio perché il sistema prevede un’elezione del governo non diretta, ma “mediata”. Anche per questo motivo, puntualmente, ogni anno cade un governo e questa discontinuità dell’azione di governo ha impedito al paese di fare passi avanti, per cui un’eventuale riforma in senso presidenziale della costituzione del 1948 non sarebbe una cattiva notizia, anche perché permetterebbe agli elettori di verificare periodicamente l’affidabilità del presidente attraverso il ricorso al voto, come accade nel paese più democratico del mondo, gli Stati Uniti d’America, prima potenza mondiale anche perché retta da una costituzione presidenzialista.
Proprio con riferimento alle potenzialità dell’animo umano che tendono alla felicità come bene sommo al precipuo fine di conferire ulteriore fiducia per la realizzazione dei più importanti percorsi di vita, sovviene, in proposito, un celebre insegnamento di Aristotele nel suo capolavoro “L’Etica Nicomachea”, uno dei cinque libri “esoterici” edito nel quarto secolo AC, secondo cui: “Ogni essere umano viene al mondo dotato di una potenzialità che aspira a realizzarsi al bene ultimo, così come sicuramente la ghianda aspira a diventare la quercia che si porta dentro”.