Il papa nell’incontro di oggi con Confindustria.
“E vero che nelle imprese esiste la gerarchia, è vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi”. Lo ha sottolineato il Papa ricevendo in udienza Confindustria. “Oggi – ha osservato – la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager”.
“Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga – ha avvertito – si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società. Adriano Olivetti, un vostro grande collega del secolo scorso, aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti”.
” Il valore che voi create dipende da tutti e da ciascuno: dipende anche dalla vostra creatività, dal talento e dall’innovazione, ma dipende anche dalla cooperazione di tutti, dal lavoro quotidiano di tutti. Perché – ha osservato Bergoglio- se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti, è anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: dipende dal loro “capitale” spirituale”.
“Le tasse cuore del patto sociale, ma devono essere eque”, ha ammonito il Papa ricevendo in udienza Confindustria. “Molto importante – ha osservato – è quella modalità che nel mondo moderno e nelle democrazie sono le tasse e le imposte, una forma di condivisione spesso non capita. Il patto fiscale è il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, così che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanità, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio”.
“Certo, – ha osservato Bergoglio – le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana. Il sistema e l’amministrazione fiscale devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un’usurpazione. Esse sono un’alta forma di condivisione di beni, sono il cuore del patto sociale”.
“Lavoro per tutti in particolare per i giovani”, ha ammonito il Papa ricevendo in udienza Confindustria.” I giovani – ha osservato Bergoglio- hanno bisogno della vostra fiducia, e voi avete bisogno dei giovani, perché le imprese senza giovani perdono innovazione, energia, entusiasmo”.
“Da sempre – ha sottolineato- il lavoro è una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico. Sta anche qui la centralità del lavoro nell’economia e la sua grande dignità. Oggi la tecnica rischia di farci dimenticare questa grande verità, ma se il nuovo capitalismo creerà ricchezza senza più creare lavoro, va in crisi questa grande funzione buona della ricchezza”.
“Tuttavia, – ha messo in guardia il Papa- il problema del lavoro non può risolversi se resta ancorato nei confini del solo mercato del lavoro: è il modello di ordine sociale da mettere in discussione”. Da qui il monito per arginare la denatalità: “Qui si tocca la questione della denatalità. La denatalità, combinata con il rapido invecchiamento della popolazione, sta aggravando la situazione per gli imprenditori, ma anche per l’economia in generale: diminuisce l’offerta dei lavoratori e aumenta la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica. E urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità”.
Sempre a proposito di lavoro, Bergoglio ha evidenziato un altro tema: “L’Italia ha una forte vocazione comunitaria e territoriale: il lavoro è stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più ampio, dove l’impresa è parte integrante della comunità. Il territorio vive dell’impresa e l’impresa trae linfa dalle risorse di prossimità, contribuendo in modo sostanziale al benessere dei luoghi in cui è collocata. A questo proposito, va sottolineato il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione, favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacità indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto”.
Nello stesso tempo, Bergoglio ha ribadito “con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza. Mi piace anche ricordare che l’imprenditore stesso è un lavoratore. Non vive di rendita, vive di lavoro, vive lavorando, e resta imprenditore finché lavora. Il buon imprenditore conosce i lavoratori perché conosce il lavoro. Molti di voi sono imprenditori artigiani, che condividono la stessa fatica e bellezza quotidiana dei dipendenti. Una delle gravi crisi del nostro tempo è la perdita di contatto degli imprenditori col lavoro: crescendo, diventando grandi, la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche. Si dimentica “l’odore” del lavoro, non si riconoscono più i prodotti ad occhi chiusi toccandoli; e quando un imprenditore non tocca più i suoi prodotti, perde contatto con la vita della sua impresa, e spesso inizia anche il suo declino economico. Creare lavoro poi genera una certa uguaglianza nelle vostre imprese e nella società”.
“Lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze”. Lo ha denunciato il Papa ricevendo in udienza Confindustria.
“L’economia – ha osservato- cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda. Ma la vita degli imprenditori nella Chiesa non è stata sempre facile. Le parole dure che Gesù usa nei confronti dei ricchi e delle ricchezze, quelle sul cammello e la cruna dell’ago, sono state a volte estese troppo velocemente ad ogni imprenditore e ad ogni mercante, assimilati a quei venditori che Gesù scacciò dal tempio. In realtà, si può essere mercante, imprenditore, ed essere seguace di Cristo, abitante del suo Regno. La domanda allora diventa: quali sono le condizioni perché un imprenditore possa entrare nel Regno dei cieli?“
Il Papa ha indicato la strada agli imprenditori: ” La prima è la condivisione. La ricchezza, da una parte, aiuta molto nella vita; ma è anche vero che spesso la complica: non solo perché può diventare un idolo e un padrone spietato che si prende giorno dopo giorno tutta la vita. La complica anche perché la ricchezza chiama a responsabilità: una volta che possiedo dei beni, su di me grava la responsabilità di farli fruttare, di non disperderli, di usarli per il bene comune. Poi la ricchezza crea attorno a sé invidia, maldicenza, non di rado violenza e cattiveria”.
Bergoglio ha ricordato che “nelle prime comunità esistevano donne e uomini non poveri; e nella Chiesa ci sono sempre state persone benestanti che hanno seguito il Vangelo in modo esemplare: tra questi anche imprenditori, banchieri, economisti, come ad esempio i Beati Giuseppe Toniolo e Giuseppe Tovini. Per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti è chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d’Assisi; ad alcuni che possiedono ricchezze è chiesto di condividerle”.
“La condivisione – ha sottolineato- è un altro nome della povertà evangelica. Come vivere oggi questo spirito evangelico di condivisione? Le forme sono diverse, e ogni imprenditore può trovare la propria, secondo la sua personalità e la sua creatività. Una forma di condivisione è la filantropia, cioè donare alla comunità, in vari modi.”.