Barilla è un marchio globale, uno di quelli che sono il vanto del nostro Paese. Eppure rischia di finire davanti ad un giudice americano per una frase, che non offende nessuno, sottolineando la sua italianità, ma che, a detta di due clienti, induce in errore chi acquista una confezione di pasta nell’iconica confezione blu. La vicenda potrebbe apparire paradossale, se non fosse che conferma come negli Stati Uniti tutto viene permesso meno che una bugia, che in questo caso è apparentemente inesistente. Cerchiamo di riepilogare. Matthew Sinatro e Jessica Prost hanno citato in giudizio Barilla lo scorso anno per commercializzare i suoi prodotti con la dicitura ”Il marchio di pasta n.1 in Italia”. Ora la denuncia non contesta il primato della Barilla nelle vendite o nella qualità della sua pasta venduta in Italia, come a rigore di logica poteva pure essere, ma il fatto che lo slogan usato “porta i consumatori ragionevoli a credere che i prodotti Barilla siano realizzati e/o fabbricati in Italia utilizzando ingredienti provenienti dall’Italia”. Potrebbe sembrare una cosa incomprensibile, ma il rischio che l’iniziativa venga posta al giudizio di una giuria non è affatto da scartare. Sinatro e Prost, nell’atto giudiziario, sono andati giù duro, sostenendo di aver acquistato, lui, una scatola di capelli d’angelo e lei, due scatole spaghetti, tutte e tre della Barilla, pensando che il contenuto fosse prodotto in Italia. Per dare ulteriori peso alle loro asserzioni, i due hanno anche detto che i colori della bandiera italiana e le immagini “rafforzano ulteriormente l’idea che i prodotti” siano autentici paste dall’Italia”. Barilla ha proposto che la citazione venga rigettata, sostenendo che lo slogan è un marchio registrato e “la sua utilità è identificare esclusivamente Barilla (non l’Italia) come fonte del prodotto”.