Ha oramai assunto le proporzioni di una fuga di massa quella dei civili che scappano dall’inferno di Kherson, che, dopo la riconquista dai soldati ucraini, i russi hanno deciso di radere al suolo. Si fugge in auto, sapendo di trovare, prima dei check-point, lunghissime di veicoli che cercano di raggiungere zone in cui la vendetta russa non possa colpire; si fugge in treno, con la stazione della cittadina assediata da persone che cercano di ripararsi dal gelo nella sala d’aspetto e ovunque ci sia come difendersi da freddo. La gente che scappa lo fa perché ormai ha esaurito anche l’ultima stilla di resistenza. Prima, dice una donna, i russi bombardavano sette, otto, anche dieci volte al giorno. Ora è un continuo, senza sosta. Abbiano contato fino a ottanta bombardamenti in un solo giorno. ”Amo l’Ucraina e la mia cara città. Ma dobbiamo andare”, dice quasi in lacrime. Con l’intensificazione dei bombardamenti, la gente è scappata anche il giorno di Natale, anche perché nulla sembra fermare i russi che ieri hanno persino preso come bersaglio il reparto maternità dell’ospedale di Kherson. Nessuna vittima, ma questo attacco ha fatto crescere ulteriormente la paura, spazzando via le speranze di chi pensava che l’offensiva si sarebbe fermata o almeno che rallentasse. Kherson sta pagando il fatto di essere un simbolo della resistenza ucraina perché, conquistata dai russi già il secondo giorno dell’invasione, è stata liberata dai soldati di Kiev l’11 novembre, diventando quindi il bersaglio della vendetta russa. L’importanza strategica di Kherson, chiamata la porta della Crimea, è evidente. Ma dietro i bombardamenti incessanti c’è anche una motivazione morale, perché la sua riconquista è stata vista da Mosca come un’umiliazione della sua macchina bellica da vendicare.
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