Oggi la Croazia entra a far parte dell’eurozona, diventandone il ventesimo Paese membro a 24 anni dalla sua creazione, nel 1999. Dal punto di vista dei leader europei, l’ingresso della Croazia è considerato un ottimo segnale politico: ecco la prova che, a sette anni dalla grave crisi che l’ha scossa, la moneta unica attira ancora. “Questa è una buona notizia, prima di tutto perché l’euro non è solo uno strumento economico o finanziario, ma anche di un’integrazione europea molto politica” , secondo Luis de Guindos, vicepresidente della Banca centrale europea. A riprova di questo approccio politico, la Croazia non sottoscrive esattamente i criteri di adesione. Il suo debito, sebbene in calo, ha raggiunto il 70% del PIL, contro un obiettivo del 60%. L’inflazione, che in linea di principio non dovrebbe superare di 1,5 punti di media nei tre Paesi dove è più bassa, non ha raggiunto questo livello fino ad aprile, quando i conti sono stati compilati in via ufficiale. Mentre la Croazia fa il suo ingresso nell’eurozona, la Bulgaria, che fino a poco tempo fa aveva coltivato questa aspirazione, deve registrare un ”no” all’ingresso nell’eurozona. Quali i motivi, spesso non usciti ufficialmente allo scoperto? La sua instabilità politica – quattro elezioni generali in diciotto mesi –, corruzione e ambiguità nei suoi rapporti con la Russia. hanno agito da ostacolo. Comunque, in dieci anni l’eurozona è stata profondamente riformata, con l’istituzione del fondo di emergenza per gli Stati (Meccanismo europeo di stabilità, il Mes su cui tanto di sta discutendo in Italia), mentre ne è stato creato un altro per il salvataggio delle banche (Fondo unico di risoluzione).