Un sondaggio dal Regno Unito getta ombre su una lunga lista di catene di distribuzione: moltissime aziende (fra cui Lidl, Zara, H&M e Next) sono accusate di aver sottopagato i rispettivi fornitori dal Bangladesh, sin dall’inizio della pandemia. I dati, raccolti interpellando rappresentanti di oltre 1.000 fabbriche nel Paese che producono indumenti per le catene di distribuzione britanniche e relativi al periodo fra il marzo 2020 e il dicembre 2021, evidenziano come il 19% dei fornitori di Lidl, l’11% di quelli di Index (proprietaria di Zara), il 9% dei fornitori di H&M e l’8% di quelli di Next ritengono di aver ricevuto pagamenti molto inferiori ai costi di produzione, situazione che ha portato gli imprenditori a non riuscire a rispettare gli standard degli stipendi minimi per i loro dipendenti. La stragrande maggioranza dei fornitori di queste quattro catene (a cui si aggiungono, seppure in quote minori, Primark, Tesco e Aldi), hanno dichiarato che i pagamenti dalle aziende del Regno Unito non si sono alzati dal periodo dello scoppio della pandemia, nonostante l’impennata dei prezzi per i materiali e di produzione. Fiona Gooch, senior policy adviser per Transform Trade, ha definito “un campanello d’allarme” i risultati di questo sondaggio: “Abbiamo bisogno di enti regolatori per il settore dell’abbigliamento, in modo da fermare queste pratiche inaccettabili: le catene di distribuzione si approfittano dell’ampio mercato a loro disposizione, sulle spalle dei fornitori”. Sono già arrivate le risposte dalle catene interessate, a partire da una nota ufficiale di Lidl: “L’azienda si è sempre impegnata ad assicurare stipendi minimi a chiunque faccia parte della catena di distribuzione. Lidl prende molto seriamente la questione della responsabilità legata ai lavoratori in Bangladesh e in altri paesi dove si fornisce, assicurandosi che gli standard minimi siano rispettati lungo l’intera supply chain”. Più duro il commento di Next: “L’azienda respinge completamente qualsiasi accusa di aver sottopagato i suoi fornitori. Abbiamo una storia documentata di aumenti continui dei costi per i produttori”. Sia Primark che Tesco hanno risposto alle accuse dicendosi estranee alla questione, mentre H&M non ha voluto rilasciare commenti ufficiali.