L’economia americana mostra i primi, ma significativi segnali di rallentamento, e a darne una immagine molto aderente alla realtà sono i giganti dell’industria tecnologica che, solo nell’ultimo mese, hanno tagliato quasi 50.000 posti di lavoro,. In questo modo hanno invertito un trend di massicce assunzioni fatte per fronteggiare l’aumento esponenziale delle attività coinciso con il periodo della pandemia, che costrinse milioni di persone ha programmare la loro vita in modalità online. Alphabet, società madre di Google, è l’ultima a tagliare il proprio organico, annunciando ieri 12.000 licenziamenti in tutto il mondo, pari a circa il 6% della sua forza lavoro globale. Comunque, come si può rilevare dai dati ufficiali, nonostante il ricorso massiccio ai licenziamenti, la maggior parte delle aziende tecnologiche, dal punto di vista della forza lavoro, è ancora molto più grande di quanto non fosse tre anni fa. Ma, a fronte della determinazione della Federal Reserve a volere sconfiggere l’inflazione ricorrendo alla politica dei tassi di interesse (il prossimo potrebbe essere annunciato il primo febbraio), gli analisti del settore prevedono ulteriori difficoltà nel 2023. D’altra parte, hanno sostenuto appena ieri gli analisti di Wedbush (società di investimenti, che gestisce oltre quattro miliardi di dollari), nel 2023 i licenziamenti nel settore tecnologico sarano ”un tema importante (…) poiché la Silicon Valley, dopo un decennio di iper-crescita, ora arriva alla realtà della modalità di riduzione dei costi”. In questo momento – al di là di qualche residua isola felice – la necessità di ridurre il personale sta coinvolgendo molte aziende ‘big tech’: Alphabet (12 mila lavoratori saranno licenziati); Amazon (18 mila); Carvana (2.500); Coinbase (950); Lift (700); Meta (11 mila); Microsoft (10 mila); Robin Hood (780); Salesforce (7.300); Snap (mille); Stripe (mille); Twitter (3.250); Wayfair (1.750).