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Giorgia Meloni in Algeria: una missione, più obiettivi

(nostro servizio) –  Quella di Giorgia Meloni in Algeria è una missione che ha più obiettivi, non solo legati al...

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(nostro servizio) –  Quella di Giorgia Meloni in Algeria è una missione che ha più obiettivi, non solo legati al ruolo del Paese nordafricano di fornitore di quell’energia di cui l’Italia ha disperato bisogno dopo essersi (quasi) affrancata dalla dipendenza dal gas russo. Ma, se già questo argomento non fosse da solo indicatore della delicatezza del viaggio in Algeria, Giorgia Meloni deve soprattutto avviare un dialogo con un Paese e con una leadership che da anni, capendo che gli idrocarburi non sono infiniti, sta cercando di ridisegnare la propria economia proiettandola in un futuro in cui le royalties cominceranno, naturalmente, ad inaridirsi. Anche  perché, prima o poi, i programmi degli Stati dell’Europa mediterranea per potenziare la produzione di energia dalle quelle alternative cominceranno a raggiungere gli obiettivi minimi.              Purtroppo, da tanto tempo ormai, l’Algeria ha perso attenzione da parte dell’Italia che non fosse quasi esclusivamente al suo ruolo di esportatore di energia. Forse in questo modo ha troppo sottovalutato l’importanza del Paese, che, dall’eredità (oggi sconfessata) di ex territorio francese, ha capitalizzato la struttura organizzativa e l’organizzazione burocratica ed amministrativa,  ma non riuscendo a mettersi al riparo da un cancro che ormai attecchisce ovunque, a tutte le latitudini, quello della corruzione. L’era Bouteflika, con il caravanserraglio di parenti e sodali che avevano messo in piedi un rapace sistema di sfruttamento dell’economia nazionale per indirizzarne le ricchezze nelle loro tasche, è finita con le dimissioni da presidente prima e con la sua morte (nel settembre del 2021), poi . Ma il processo di ”depurazione” della nomenklatura che la corte di Bouteflika aveva messo nei gangli decisionali del Paese non si è ancora completato, fungendo da freno per tanti progetti. I quali non possono prescindere da una cosa: l’Algeria, dopo avere vinto la guerra per l’indipendenza dalla Francia, è ben consapevole che il terrorismo islamico non è ancora sconfitto, nonostante il decennio di sangue seguito alla risposta dell’esercito alla vittoria degli integralisti alle elezioni generali. Un Paese comunque forte, anche da punto di vista militare.                                                                                                                                                La ”Grande muette” – la Grande muta – come vengono definite le forze armate algerine (mutuando la definizione usata in Francia per ricordare il silenzio ”politico” imposto ai militari) è una macchina potente, che necessita di essere alimentata. Tanto che l’Algeria spende tantissimo in armamenti, non solo per motivi di sicurezza, quanto perché la casta militare è ancora potente e ascoltata (la maggior parte dei presidenti, dopo l’indipendenza, erano appunto ex militari). Cosa che potrebbe anche essere utile all’Italia, che nell’export vede quello della armi come un capitolo importante.                                                               Ma l’Algeria da potenza regionale assolve ad un ruolo molto delicato, fungendo da deterrente per le irrequiete fazioni che si fanno la guerra in Libia e che, mancando di una ideologia, potrebbero fungere da catalizzatore per la mai sopita rabbia degli islamisti. Ma è anche un avamposto della lotta al terrorismo islamico verso le ribollenti regioni dell’Africa subsahariana, collettore delle centinaia di migliaia di disperati che vedono nell’Europa la terra promessa.                                                                                        E mai nessuno come l’Italia guarda a quelle regioni come ad un pericolo latente.

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