Messina Denaro: arrestato Andrea Bonafede, l’avatar del boss

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(nostro servizio) – Era solo una questione di tempo e quello di Andrea Bonafede ancora in libertà si era dilatato, quasi incredibilmente, per una settimana dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, a cui aveva ceduto, oltre all’identità, forse anche l’anima. Andrea Bonafede è stato arrestato ieri sera, dai carabinieri del Reparto operativo speciale, il Ros, con l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, quindi non di essere un ”semplice” favoreggiatore del boss durante la latitanza, versione che lui aveva cercato di accreditare quando addosso a Messina Denaro erano stati trovati documenti di identità a suo nome. Accuse gravi e, almeno questa volta, apparentemente fondate, se il castello delle contestazioni mosse a Bonafede saranno tutte confermate. Le parole usate dal giudice Alfredo Montalto, che ha firmato il provvedimento di arresto, su richiesta del procuratore Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e del sostituto Pierangelo Padova, descrivono Bonafede come un elemento organico alla consorteria, smentendo quindi, almeno in questa fase dell’indagine, il suo tentativo di accreditarsi più come un amico che come un complice. Ma tutti gli elementi che, in questi giorni di frenetiche indagini, sono stati raccolti dicono ben altro. Raccontano di un uomo che, a detta della sua ormai ex compagna e di chi gli stava accanto, aveva dissimulato la sua vita vera, vivendone una artificiale, in cui era bravo, buono e affettuoso e nulla faceva trapelare il suo ruolo – che a questo punto appare fondamentale – di ”avatar” di Messina Denaro, per il quale era diventato, dicono le carte, il braccio operativo sul territorio per aiutarlo a continuare una esistenza nell’ombra, ma non certo puntellata da disagi. Una casa comprata con i soldi del boss e messa a sua disposizione, l’aiuto a comprare una autovettura, la cessione dei documenti di identità grazie ai quali girava indisturbato: troppo per sostenere la versione di un uomo che non poteva sottrarsi ai vincoli affettivi con un amico d’infanzia. Perché Andrea Bonafede ha fatto per Matteo Messina Denaro cose che non si farebbero forse per un fratello. Perché, cedendo la sua identità al boss, Bonafede ha dovuto limitare la normalità della propria vita, per evitare che una mai escludibile coincidenza li portasse entrambi a esibire gli stessi documenti, svelando il mistero.  Bonafede, quindi, secondo l’ordine di arresto, non un semplice favoreggiatore, magari a regolare busta paga da parte di Messina Denaro, ma ”un affiliato ‘riservato’ al servizio diretto del capomafia”, come lo ha definito il giudice Montalto, secondo il quale egli fungeva da collaboratore, probabilmente di alto livello e per questo lautamente remunerato. Perché Messina Denaro agiva come da sempre fanno i ”capi”, gestendo il controllo del territorio, perché sapeva che da esso derivava la sua forza. E per farlo, sostengono i giudici, Bonafede era elemento indispensabile per consentirgli di fare avvertire la propria presenza fisica. Cosa che non avrebbe potuto fare se non con l’aiuto di chi come Bonafede aveva dimostrato fedeltà a lui e a Cosa Nostra.  Oggi, in carcere, Andrea Bonafede aspetta i tempi della giustizia, quando gli sarà chiesta la sua ultima versione di una ”amicizia” che per chissà quanto tempo lo ha portato ad essere un’ombra del boss.

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