domenica2 Aprile 2023
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Tyre Nichols: l’America ancora una volta davanti alle sue contraddizioni

(nostro servizio) – Le cronache giornalistiche degli ultimi anni, che raccontano episodi di violenza negli Stati Uniti, sembrano caratterizzarsi per...

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(nostro servizio) – Le cronache giornalistiche degli ultimi anni, che raccontano episodi di violenza negli Stati Uniti, sembrano caratterizzarsi per una equazione che resta incomprensibile, se non ci si cala nella cultura americana. Una equazione che dice ”nero uguale a colpevole”. Di qualsiasi cosa, non importa quale, perché nell’immaginario collettivo troppo spesso la violenza viene accostate alla criminalità nera, ben sapendo che nella quasi totalità dei casi di tratta di episodi che coinvolgono solo le persone che ne sono protagoniste. Eppure il ”nero” è sempre colpevole e spetta a lui dimostrare la sua innocenza, quando il processo dovrebbe essere contrario. E poco importa se sia un ragazzo o un anziano, un umo o una donna, che sia armato o che non sia un potenziale pericolo. La vicenda di Tyre Nichols è emblematica perché, come dimostrato dall’agghiacciante video che ne mostra le fasi del massacro che ha subito, questo giovane uomo di colore di 29 anni è stato fermato (forse con un minimo di sua responsabilità, ma questo non c’entra nulla) solo per guida spericolata.                                                                                   Da quel momento fino all’epilogo – la morte dopo tre giorni di agonia, senza che la famiglia fosse avvertita della gravità delle sue condizioni, anzi quasi rassicurata su di esse dalla polizia – c’è il passaggio del pestaggio che, basta guardare il video,  se si riesce a non chiudere gli  occhi per l’orrore, è stato condotto con bestiale efficienza. Tanto che la madre di Tyre ha usato, per descrivere il calvario del figlio, un paragone che, se non fosse l’esatta definizione di quanto accaduto, potrebbe apparire fuor di luogo. Per lei il figlio è stato trattato come quei contenitori di caramelle e dolciumi, le pentolacce, che vengono spaccate a colpi di bastone dei bambini.                                                                                                      Un massacro in  cui la brotherhood, il senso di fratellanza che accomuna i neri, anziché ”umanizzare” l’episodio ha spinto i cinque uomini della Polizia, neri come la vittima, ad aumentare violenza e numero dei colpi inflitti anche quando Tyre Nichols era inanimato a terra.                                                          Colpa degli agenti, quindi? Sicuramente sì, con una glossa necessaria. Anche quando era evidente che si stava materializzando un dramma e, insieme, un crimine, due vigili del fuoco e anche i paramedici intervenuti si sono limitati a guardare, come se la divisa garantisse onnipotenza e immunità.                      L’America dei diritti violati dovrebbe cominciare a ribellarsi, ma non con atti violenti – come troppo spesso, purtroppo, accade quando la protesta cede il passo alla rabbia – , ma con una rivoluzione che cominci dal basso, insegnando ai suoi ragazzi cosa siano la convivenza e la solidarietà.                          Però la lezione della violenza che si abbatté su altri due neri, Rodney King,  nel 1991, pestato a Los Angeles, e George Floyd, nel 2020, morto a Minneapolis, soffocato durante un arresto, sembra non avere insegnato niente.

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