Si punta su tre consulenze, audio inediti e intercettazioni sparite.
C’è un nuovo testimone nella strage di Erba e offre una pista alternativa sui colpevoli. Lo sostiene la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi condannati all’ergastolo in via definitiva per la morte di Raffaella Castagna, del figlio Youssef Marzouz di 2 anni, della nonna del piccolo Paola Galli e di una vicina di casa Valeria Cherubini, accorsa nell’appartamento di via Diaz la sera dell’11 dicembre 2006. Si salvò, solo per caso, il marito Mario Frigerio, morto nel settembre del 2014, testimone oculare del quadruplice omicidio.
Una prova contenuta nella richiesta di revisione che “tra qualche giorno” i difensori, gli avvocati Fabio Schembri, Nicola D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello, coadiuvata nelle indagini dal legale Paolo Sevesi, depositeranno alla corte d’appello di Brescia per chiedere la riapertura del caso.
Dopo la sentenza della Cassazione, arrivata il 4 maggio del 2011, gli avvocati hanno lavorato a lungo – con un pool di esperti – per cercare di ribaltare una condanna su cui nessuno dei giudici ha mai espresso un dubbio. Le indagini difensive hanno portato a rintracciare, pochi mesi fa, un uomo tunisino, finito in un’inchiesta della Guardia di finanza e legato in affari con il fratello di Azouz Marzouk (compagno e padre di due delle vittime), il quale avrebbe offerto una pista alternativa: un regolamento di conti tra bande rivali, legato al mercato dello spaccio, che sarebbe sfociato nell’agguato all’interno dell’appartamento di via Diaz in cui, secondo il suo racconto, venivano nascosti droga e soldi.
Nuovi elementi o elementi non visti volutamente.
Un elemento che, insieme alle presunte incongruenze e anomalie di un’indagine, porta la difesa a provare a smontare – dopo quasi 17 anni dai fatti – le tre prove (le confessioni dei coniugi, le parole del testimone che riconosce Olindo e la macchia di sangue della Cherubini nell’auto della coppia) che costringono in carcere i coniugi Romano. Un lavoro che si è servito degli strumenti offerti dai progressi della scienza e della tecnologia e che sono riassunti in due corpose consulenze multidisciplinari e una consulenza biologico-genetica forense. “Ogni singolo elemento di prova non regge e ora i nuovi elementi raccolti vanno a intaccare la condanna” spiega Schembri all’Adnkronos.
I legali ripropongono testimonianze, verbali, rilievi, audio e video da sempre presenti nell’inchiesta, ma a loro dire, mai davvero analizzati, valorizzati o compresi fino in fondo. Si parte dal ricostruire le versioni di Frigerio che passa dal non ricordare, a offrire l’identikit di uno sconosciuto con la pelle olivastra per poi puntare il dito sul noto vicino di casa. Una memoria falsata, così come “false”, indotte, sono le confessioni di Olindo e Rosa. Nella corposa documentazione dei legali c’è un paragrafo dedicato alle intercettazioni ‘scomparse’ in ospedale e a casa dei coniugi Romano, così come viene messe in discussione, la “genuinità” della macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco dell’auto di Olindo. Non convince il modo in cui è stata repertata, così come il risultato. Se su quella traccia ematica finora la difesa ha fatto un atto di fede, ora fa marcia indietro: quella traccia non esiste, “è una suggestione ottica”.
Ma soprattutto stupisce che in quella ‘mattanza’, in quel “bagno di sangue”, i due condannati siano riusciti a non lasciare alcuna loro traccia in casa delle vittime e a non ‘portare’ alcuna traccia nella loro abitazione. In discussione c’è anche la dinamica della morte della Cherubini, che lascia supporre che gli aggressori siano ancora presenti all’arrivo dei primi soccorritori accorsi per spegnere le fiamme. E nella lunga contro inchiesta ritornano gli elementi distrutti dopo la sentenza definitiva (su cui la difesa aveva chiesto accertamenti). Le conclusioni dei legali – così come quelle che arriveranno dalla procura generale di Milano – dovranno superare un primo vaglio di ammissibilità da parte dei giudici di Brescia, solo dopo potrebbe essere fissata un’udienza per decidere se il caso va riaperto.