“Non cerchiamo pupazzi” è una campagna di field marketing organizzata dall’agenzia di comunicazione pe.pe .
La scelta di “people to people” è data dal modo di valorizzare le persone come mission di questa agenzia. La campagna “Non cerchiamo pupazzi” è destinata alla Gen Z e agli studenti dello IED e tutti coloro che sono intenzionati a valorizzare la propria unicità, anche sul lavoro.
Sarà presentata giovedì 19 ottobre, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dello IED. Per quest’anno l’inaugurazione tanto attesa si svolgerà in un luogo simbolo di Milano come l’Arco della Pace in Piazza Sempione. In sintonia con le tematiche di IED, pe.pe sarà presente e darà vita a un’azione decisamente unconventional distribuendo speciali pack contenenti dei pupazzi con diversi messaggi creati per stabilire contatto e relazione con ogni ragazzo o ragazza, stimolando una sua reazione sul tema.
Questi pupazzi sono personaggi realizzati in forex, dal design flat e l’animo gender fluid, legati a specifici job role da agenzia – come Creative Strategist, Art Director e Content Writer – che ogni studente potrà “plasmare” a sua somiglianza o gusto, rendendoli così unici. Di questa iniziativa creativa, dell’unicità nel mondo del lavoro creativo e di come superare qualsiasi tipo di ostacolo nell’affermazione di essa conversiamo con Federica Gianola – Co-Founder & Chief Creative Strategy Officer e Silvio Morsellino – Co-Founder & CEO pe.pe agency in questa intervista esclusiva.
Come nasce l’idea della campagna di comunicazione “Non cerchiamo pupazzi”?
L’idea nasce dall’identità dell’agenzia. Abbiamo creato pe.pe partendo dalle persone prima ancora che dagli obiettivi di business. Persone, non ruoli lavorativi. Perché sono le persone, con le loro caratteristiche, non solo a far funzionare i team, ma a delineare la natura stessa di un’organizzazione. “Non cerchiamo pupazzi” nasce dalla consapevolezza che ognuno di noi è unico ed è proprio questa unicità a fare la differenza, anche sul lavoro. Nasce dalla volontà di trasmettere i nostri valori fondanti. Nasce con la voglia di parlare con le nuove generazioni di oggi, che forse lavoreranno con noi domani. “Non cerchiamo pupazzi” è una campagna di branding, ma solo se branding significa ancora raccontare chi siamo e perché facciamo quello che facciamo. pe.pe è people to people.
Come mai la scelta dell’Arco della Pace in Piazza Sempione a Milano come luogo di lancio di questa campagna di comunicazione?
Più che il luogo abbiamo scelto l’occasione. Il 19 ottobre sarà il giorno di inaugurazione del nuovo anno accademico di IED, un’inaugurazione atipica per come siamo abituati a conoscerla: IED ha deciso di uscire dalle sue sedi, portando la formazione “in piazza”, al centro del dibattito pubblico. Un dibattito che si prospetta come un confronto generazionale sui temi dell’identità e del lavoro e, proprio per questo, un palco perfetto per la nostra campagna. Parlando di affinità elettive, non potevamo non riconoscere in un feeling valoriale con l’iniziativa e una mission comune a IED.
Uno degli obiettivi di questa campagna è quello di stimolare ogni persona ad essere unica e speciale. In cosa consiste questa unicità? Cosa contribuisce a rendere unica una persona?
Non vogliamo agghindare “Non cerchiamo pupazzi” con le vesti della pubblicità sociale, la campagna è sì portatrice sana dell’importante tematica della diversity&inclusion, ma vuole soprattutto stabilire un dialogo con i ragazzi e stimolarli a riflettere su chi sono e chi vogliono diventare. Chi, non cosa, quindi non un cluster, non un ruolo, non una professione e certamente non un numero. La persona è unica per dovere sintattico, per diritto di nascita. Certo, ricopriamo tutti, ogni giorno, dei ruoli sociali, ma l’individuo rimane sempre la chiave per il suo successo. Chiedergli di omologarsi in job troppo verticali, di indossare un paraocchi senza mai chiedersi cosa c’è oltre (la sua mansione in questo caso), di ragionare a compartimenti stagni perché un’organizzazione è piramidale e “non è compito tuo” crediamo sia, oltre che svilente, anche anacronistico rispetto a una società sempre più orientata alla commistione.
Quali sono i principali stigma che ruotano nell’ambito del lavoro creativo?
Ce ne sono diversi, ma come sempre il principale deriva dalla pigrizia del “si è sempre fatto così”. C’è il creativo e poi c’è tutto il resto, come se la creatività fosse appannaggio di pochi, una sorta di élite. La verità è che il pensiero creativo è come un muscolo, si può allenare e si nutre di esperienza. Sì, si può imparare ad essere creativi. Perché l’idea non è come la disegniamo da piccoli, un lampo o, peggio, una lampadina, non è qualcosa che arriva quando meno te lo aspetti, è prima di tutto analisi, lettura, conoscenza, cose che solitamente attribuiamo a persone pragmatiche con un’intelligenza di tipo logico-matematica. Può succedere che un ragazzo che si è sempre considerato creativo capisca sul campo di preferire o essere più predisposto al project management, oppure il contrario. E come dovrebbe reagire “il campo”? In maniera ricettiva, perché una persona soddisfatta è una risorsa più produttiva che genera benessere diffuso.
Come superarle?
L’invito è ad avere un atteggiamento aperto, ascoltare, osservare tanto, essere sempre curiosi, abbandonarsi alle possibilità, sperimentare, sbagliare perché no, lasciarsi stupire, anche da se stessi. Ed è un invito bi-direzionale: ai ragazzi che entreranno nel mondo del lavoro e cresceranno prima come persone e poi come professionisti, e alle aziende, che hanno la grande responsabilità di accompagnarli nella maniera corretta, senza barriere all’ingresso o pregiudizi.
Quanto sono importanti le soft skill in ambito lavorativo?
Fondamentali. Esistono tanti curricula uguali, tante competenze equiparate, tanti percorsi lavorativi simili, ma le persone non sono soltanto hard skills, non sono quello che hanno fatto o scritto di aver fatto sulla carta, sono ben oltre, sono tutte diverse, con le loro specificità irripetibili. E sono proprio queste naturali inclinazioni che matchano (o dovrebbero matchare) con la cultura dell’azienda. L’azienda, di fatto, è le sue persone, quindi la valutazione delle competenze trasversali è importantissima per garantire un ambiente sano, sereno ed equilibrato. Wellbeing non dovrebbe essere solo un bell’inglesismo e, se ci pensiamo, le competenze si possono acquisire con l’esperienza sul campo, il feeling tra persone no.
Un consiglio a chi vuole intraprendere un percorso lavorativo in ambito creativo…
Scordatevi il divismo dei vecchi direttori creativi, sporcatevi le mani, lavorate sodo, ma sappiate riconoscere il perimetro del rispetto. Datevi la possibilità di scoprire cosa vi piace davvero, cambiate quando serve, e godetevi il viaggio. Anche la paura. Siate autocritici almeno quanto sarete critici, ma quando lo meritate godetevi tutti gli applausi senza il timore di essere giudicati poco umili. Non dimenticate che l’idea non è la meta, ma solo la partenza, e senza strategia non c’è progetto. E ricordate, se un giorno vi sentirete delusi, frustrati, insoddisfatti da quello che in quel momento riterrete essere il sistema, che in Italia ci sono migliaia di agenzie e che non sono tutte uguali. Cercate il vostro posto, c’è.