Viviamo vite frenetiche che lasciano poco spazio alla creatività prosciugando la linfa vitale che è in ognuno di noi.
Immersi in questa dimensione caotica si fa veramente fatica a connetterci con la parte più autentica ed essenziale che vive nel profondo di tutti noi. È l’anima che scalpita per essere ascoltata, ci chiede di prenderci cura di lei quando siamo prede di inquietudini e malesseri che possono cronicizzarsi e impedirci di vivere serenamente.
Oggi come non mai si avverte l’esigenza di fermarsi “a tu per tu” con la propria “parte bambina” che è espressione di creatività, dinamismo e vitalità. Connettendoci ad essa si vive con una marcia in più e in piena coerenza con i propri ideali, sogni e desideri che ci permettono di vivere vite di qualità, lontani dai falsi miti che dilagano e che ci vorrebbero snaturati e costantemente performanti in un sistema che non conferisce la giusta importanza al mondo del sentire.
Queste tematiche che riguardano tutti noi, in quando esseri umani sono contenuti nel meraviglioso saggio “Ritrovare l’anima” della filosofa e life coach Laura Campanello, edito da Bur. È un libro che conduce il lettore nell’esplorazione della parte più essenziale del suo essere, l’anima. Lo invita a dedicarle ascolto e piena espressione.
Attraverso testimonianze di vita, spunti di riflessione, esercizi pratici e imput creativi la Campanello attraverso il suo libro ci guida in un viaggio meraviglioso e avventuroso che ci consente di risvegliarci dal torpore quotidiano per attivarci concretamente alla riscoperta del proprio “fanciullino” e allenare la meraviglia, la curiosità e l’empatia, doti da valorizzare ed esprimere a pieno senza limiti.
Di quanto sia importante al giorno d’oggi connettersi con la propria anima, del concetto di felicità e del ruolo della filosofia conversiamo con Laura Campanello in questa ispiratoria intervista.
Quanto è importante al giorno d’oggi mettersi in contatto con la propria anima?
Farlo oggi è più che mai fondamentale per non rimanere sopraffatti dal disorientamento provocato dalle angosce che abitano il nostro tempo e che rischiano di occupare tutto il nostro spazio emotivo e mentale. È importante farlo per poter rimanere capaci di muoverci in maniera critica e vitale nella complessità e nella profondità dell’essere umano che siamo e del mondo che abitiamo con le sue trasformazioni, le sue morti e le sue rinascite.
Perché si fa tanta fatica ad accettare le proprie fragilità e debolezze?Fatichiamo a farlo perché non siamo abituati a considerarle dimensioni e qualità costitutive del nostro essere ma siamo educati a negarle fin dalla più giovane età perché dobbiamo rimanere capaci “funzionare bene” senza cedimenti in un’ottica di mera prestazione. Accettare le fragilità significa prendere in considerazione la sofferenza e la trasformazione che fanno parte della vita, e per farlo dobbiamo avere tempo, silenzio, sosta, vicinanza. Questo serve a ciascuno di noi non solo come necessità ma anche come opportunità per praticare l’empatia e mettersi in gioco nel dare costantemente forma e cura alla propria vita. Queste sono tutte questioni esistenziali a cui non veniamo formati e che quindi rischiano di apparirci superflue o addirittura pericolose.
Una delle tematiche che affronti nel tuo libro è la tanto agognata ricerca della felicità. La felicità esiste davvero o è solo un’utopia?
Credo che la felicità esista davvero ma va detto che prima di tutto non è un obbligo: siamo in un contesto sociale dove sembra che tu debba essere felice a tutti i costi, e questo è impossibile. Inoltre credo che la felicità non vada confusa con le fortune più o meno casuali che la vita ci offre o con la possibilità di essere intoccabili dagli eventi dolorosi della vita, cioè con l’assenza di sofferenza o fatica. Sarebbe una felicità impossibile per noi che siamo esposti al cambiamento per natura.
Credo invece che la felicità sia la risultanza di un equilibrio sempre mobile ma possibile, che deriva dalla capacità di dare il giusto peso agli eventi, di avere un senso e una direzione nella propria vita che ci indichi ciò che è essenziale e ciò che non lo è, e quindi nel saper riconoscere ciò che di bello è straordinario esiste nella nostra vita ordinaria e quotidiana. Imparando così a praticare la gratitudine e la meraviglia ogni giorno, fonti perenni di felicità.
“Ritrovare l’anima” è un vero e proprio invito a prenderci cura della propria anima. Quali sono i segnali che non dobbiamo ignorare e che ci devono spronare a farlo?
Imparare ad ascoltarci è l’inizio di quello che già nella filosofia antica veniva chiamata la pratica della cura di sé. Imparare a vedere “in quale stato versa la nostra anima” come diceva Socrate è fondamentale per comprendere quali situazioni soffocanti e prive di senso e valore stiamo vivendo nella nostra vita. I segnali che riceviamo dalla nostra anima vanno dall’inquietudine all’attacco di panico, dalla rabbia alla tristezza permanente, dall’insonnia alla fame mal controllata: spesso sono segnali – quando non sono patologie – che il nostro stile di vita non si confà al senso di valori che cerchiamo per vivere bene.
Come educare alla cura del sé le nuove generazioni?
Credo sia necessario prima di tutto essere adulti maggiormente consapevoli, che non vivono soltanto per funzionare ma danno ancora valore alla possibilità di essere, di praticare quel nudo piacere di vivere che mette radici nella capacità che da sempre abbiamo di dirigere lo sguardo verso ciò che conta davvero per l’esistenza. Adulti capaci di dare vita al nuovo, adulti visionari e che praticano la speranza e la creatività. L’educazione delle nuove generazioni passa poi dalla possibilità di lasciarli sperimentare, esprimere, conoscere, assaporare, dialogare intorno a tutto ciò che riguarda l’esistenza senza negare la parte ombra e aiutandoli a riconoscere sì la parte luminosa, la parte piacevole ma anche la parte fragile di cui prendersi cura dentro di sé e fuori da sé. Affinché la vita rimanga bella e meritevole di attenzione in tutte le sue parti.
In che modo l’arte è in grado di aiutarci nel percorso di cura della propria anima?
L’arte può aiutarci perché ci toglie dall’obbligo di vedere le cose solo in maniera lineare e razionale e apre a ciò che evoca in noi tutte quelle dimensioni dell’esistenza di cui abbiamo bisogno per poter vivere una vita piena e ricca di significato. Grazie all’arte, alla poesia , a tutte le forme di espressione creativa e simbolica possiamo ritornare ad accedere a quelle ampiezze che ci costituiscono e che troppo spesso dimentichiamo e non frequentiamo, vittime dei concetto di utile ed economico come unico valore riconoscibile e misurabile.
Che ruolo ha la filosofia nella società odierna?
La filosofia ha il ruolo di aiutarci a restare svegli, capaci di pensiero critico e sguardo ampio. Può sempre riportarci alla capacità di meravigliarci quanto di riconoscere la complessità che siamo e in cui siamo per poterci muovere con saggezza e non con superficialità, per poterci riconoscere capaci di cura e non solo di distruzione, per continuare a praticare la gratitudine per ciò che non è mai né ovvio né dovuto e sopportare il dolore senza che questo ci tolga dal senso e dal piacere di vivere.
La filosofia ci aiuta a ritornare ad essere cuori pensanti come diceva Etty Hillesum, capaci cioè tanto di sentire quanto di mantenere una visione lucida su noi stessi e sul mondo senza anestesia e senza disperazioni eccessive.
A chi consigli la lettura del tuo libro?
Credo che il mio libro sia consigliabile dai 16 anni in su, se dovessi dare un’età, perché ogni fase della vita ha bisogno di essere attraversata con uno sguardo libero, responsabile, autentico e appassionato. Qualità che soltanto chi è ricco di anima arriva a possedere e sperimentare.