Attorno al tema della maternità dilagano tanti falsi miti, pregiudizi e preconcetti che bisogna assolutamente abbattere.
Per anni ci hanno inculcato che la maternità fosse una naturale predisposizione dell’” essere donna”. Per molte donne questa esperienza può tramutarsi in una vera e propria “prova di coraggio” perché spesso il ruolo di mamma non si concilia come si vorrebbe col ruolo di donna o di lavoratrice. Nonostante l’Italia sia il “Paese più mammone” in Europa, c’è una carenza di servizi a sostegno della genitorialità ed è da decenni che si è ormai radicato un sistema lavorativo patriarcale.
La giornalista e attivista Francesca Bubba con il suo libro “Preparati a spingere” uscito per Rizzoli a settembre, fa luce su diverse tematiche riguardanti il falso mito della maternità affrontando anche un argomento di cui poco si parla, ossia la violenza ostetrica. Attraverso il suo libro- inchiesta Francesca Bubba traccia la cruda e difficile realtà di quello che significa “essere donne” ed “essere mamme” in Italia. Un libro ricco di testimonianze, verità, spunti di riflessione per attivare una vera e propria rivoluzione dell’essere mamme. Il tutto finalizzato a creare le basi di una civiltà in cui alla donna venga riconosciuto valore e tutela e soprattutto libertà di espressione e azione in tutte le sue sfaccettature.
Del valore della maternità oggi e di cosa significa essere mamme in Italia conversiamo con Francesca Bubba in questa intervista.
Partiamo dall’origine, come è nata l’idea di scrivere “Preparati a spingere”?
L’idea è nata dalla necessità di imprimere su carta, quindi cristallizzare, il mio lavoro di attivismo. Imprimere su carta che le difficoltà in cui il materno si imbatte quotidianamente- difficoltà di matrice sociale, culturale e istituzionale- non sono responsabilità singole, ma istanze politiche e collettive.
Nel tuo libro sottolinei il fatto che il valore della maternità è cambiato rispetto all’epoca delle nostre nonne e mamme. Oggi cosa significa essere mamme?
Partivamo avvantaggiate rispetto a ieri: disponiamo di un novero di facilitazioni non indifferenti rispetto alle nostre nonne e madri. Eppure, la corrente della maternità naturale a tutti i costi sta muovendosi (anzi, muovendoci) verso nuove forme di asservimento. Le madri oggi non sono libere di vivere la maternità come vorrebbero. Di fatto, il fanatismo imperante le rende in balia dello stesso giogo da cui si erano a fatica liberate le nostre nonne. Basti pensare alla questione allattamento: quasi non ci si sente più in diritto di scegliere di non allattare al seno, ad esempio.
Purtroppo ci hanno inculcato che essere madre è sinonimo di sacrificio e rinunce. Lo scrivi anche tu con le seguenti parole: “Ci è stato insegnato che tutto questo dolore ha a che fare con l’amore, che si chiama violenza, invece lo abbiamo imparato da sole” Da dove proviene questo falso mito?
Dal romanticizzare e attribuire valore morale al dolore femminile. Questo non riguarda solo il materno: il dolore femminile, se parliamo di diritti riproduttivi soprattutto, è esaltato. Quel dolore racconta di noi, quel dolore viene mischiato con l’amore.
Come contrastarlo?
Dandogli, intanto, il giusto nome. Parlandone, denunciando, rivendicando il diritto al sollievo e scardinare la concezione dilagante che attribuisce valore al dolore.
Una tematica che affronti nel tuo libro è il falso mito del multitasking che viene riconosciuto a noi donne e della svalutazione del lavoro di cura. È possibile quantificare e dare un valore al lavoro di cura?
Esatto, nel libro scrivo anche di questo. C’è anche una ragione specifica per cui il valore del lavoro di cura è escluso dal PIL. Nel libro nel parlo lungamente proprio perché è sacrosanto riconoscere l’immenso valore sociale di questo lavoro che è stato, per secoli, imposto alle donne. Non è una naturale predisposizione dei corpi delle donne, è lavoro.
Cosa serve alle mamme italiane d’oggi?
Per intercettare le necessità delle madri di oggi, è necessario osservarne le difficoltà. Alle madri di oggi serve di essere, anzitutto, viste.
Come rendere partecipi e corresponsabili i propri mariti e compagni in questa sorta di “rivoluzione dell’essere mamme”?
Ci tengo sempre molto a specificare che questa non deve essere una responsabilità delle madri. Mi spiego meglio: non abbiamo il dovere di educare l’uomo che ci sta accanto. Dovrebbe essere un processo agevole di cui lui e solo lui ha piena responsabilità. Bisogna anche dire che, però, finché le istituzioni continueranno a ignorare il ruolo del padre, con congedi parentali ridicoli, ad esempio, sarà molto difficile ottenere una situazione di parità all’interno del nucleo familiare, e il padre continuerà ad essere una figura satellite attorno alla diade madre figlio.
Il tuo libro è uscito a fine settembre. Che tipo di riscontro sta avendo?
Ho riscontrato un impatto che, francamente, non mi aspettavo. Sapevo che lo avrebbero letto in tanti e tante, speravo che ne avrebbero apprezzato la cura e la, in un certo senso, rivoluzione impressa nelle pagine. Ma mai avrei immaginato un impatto tale, mai. Sono molto grata per tutto l’amore che il mio libro sta ricevendo.
A chi consigli la sua lettura?
Il mio libro non è un manuale per la maternità. Il suo scopo è quello di denunciare una condizione sistematicamente ignorata. La sua lettura la consiglio a tutte le persone, indistintamente, proprio perché offre una panoramica su una visione del mondo su cui ha regnato l’ombra per secoli. E, soprattutto, lo consiglierei a chi sta al governo.