La Cop28 a Dubai ha aperto le porte a oltre 200 governi mondiali, dando vita a un confronto cruciale sulla crisi climatica.
Tra gli assenti spiccano il presidente americano Joe Biden, il leader cinese Xi Jinping e, per ragioni di salute, Papa Francesco. Nonostante ciò, Cina e Stati Uniti parteciperanno al vertice, affiancati da Ong, think tank, imprese e gruppi religiosi.
Il 28° incontro annuale delle Nazioni Unite sul clima a Dubai è focalizzato sulla limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C (obiettivo di Parigi) e sull’abbandono dei combustibili fossili. Gli Emirati Arabi Uniti, tra i principali produttori di petrolio al mondo, diventano il palcoscenico di una discussione cruciale sulla transizione verso un’economia a basse emissioni.
La conferenza, che si protrarrà fino al 12 dicembre, si pone la sfida di tradurre in azioni concrete gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. “Entro il 2030, il 50% degli investimenti dovrebbe essere destinato all’energia pulita, ma sarà accettato o ignorato dalla Cop28 di Dubai? La risposta potrebbe plasmare il futuro delle politiche dei grandi produttori di petrolio”, avverte Gianni Silvestrini, Direttore scientifico di Kyoto Club.
L’apertura di Dubai alle trattative commerciali con diversi paesi, nonostante la sua posizione di rilievo nel settore petrolifero, sembra una contraddizione. La dichiarazione del direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, aggiunge suspense: “L’industria del petrolio e del gas si trova di fronte a un bivio alla Cop28, con la scelta tra alimentare la crisi climatica o abbracciare l’energia pulita.” In un contesto di crescente consapevolezza globale, la comunità internazionale guarda a Dubai con l’aspettativa di soluzioni concrete per affrontare le sfide climatiche e garantire un futuro sostenibile per il pianeta.