le due guerre ucraina e medio oriente
NEWS > 25 Dicembre
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Il 2023 sarà ricordato come l’anno delle due guerre, il medio oriente e l’Ucraina.

La crisi di Gaza oscura la crisi in Ucraina. La guerra ‘congelata’ e la guerra ‘calda’. Il 2023 sarà ricordato...

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La crisi di Gaza oscura la crisi in Ucraina. La guerra ‘congelata’ e la guerra ‘calda’.

Il 2023 sarà ricordato come l’anno delle due guerre e del più sanguinoso conflitto di sempre tra Israele e Hamas. Una vera e propria resa dei conti, innescata dal massacro del 7 ottobre nello Stato ebraico – il più grave dai tempi dell’Olocausto – e che non solo mediaticamente ha oscurato la guerra in Ucraina, distante ormai una manciata di settimane dall’entrare nel terzo anno.

Le ripercussioni potenzialmente devastanti della guerra a Gaza – dal confronto a tutto campo con l’Iran alla possibile apertura di un fronte con Hezbollah fino alla minacce per la navigazione nel Mar Rosso dovute agli attacchi degli Houthi dallo Yemen – hanno messo in allarme tutte le cancellerie occidentali, a partire dalla Casa Bianca, costringendole a rivolgere al Medio Oriente gli sforzi politici, militari ed economici che dal febbraio 2022 erano concentrati sull’obiettivo di fermare Putin a ogni costo.

Il sostegno occidentale all’Ucraina, che era apparso come un monolite inscalfibile, ha iniziato a mostrare i primi segnali di cedimento con l’inizio della nuova puntata della faida tra Israele e Hamas. Certo già erano presenti segnali che indicavano questa nuova direzione.

La ‘stanchezza’ registrata nelle opinioni pubbliche delle democrazie occidentali – a cui faceva da contraltare l’appoggio ‘whatever it takes’ dei governi – e alcuni distinguo europei, a partire da quelli di Ungheria e Polonia, avevano fatto capire che il vento stava per cambiare e che l’appoggio incondizionato a Kiev non sarebbe stato più scontato come in passato. L’esplosione in Medio Oriente di un incendio di rara intensità ha solo accelerato un processo già avviato e che ha mandato nel panico il governo ucraino, angosciato dall’idea di essere abbandonato dall’Occidente.

La situazione sul terreno in Ucraina ha visto quest’anno una fase di sostanziale stallo e che ha vissuto soprattutto di reciproci attacchi missilistici e con droni. Ma l’offensiva sulla quale Washington ed i suoi alleati europei puntavano per schiantare definitivamente le forze russe non ha indebolito Mosca. “L’offensiva ucraina non è andata come si sperava. Gli ucraini non hanno perso territorio, ma non hanno neanche raggiunto i risultati che si speravano”, ha commentato di recente il nuovo ministro degli Esteri britannico, David Cameron.

Secondo le previsioni di ex generali ed esperti militari, la Russia potrebbe tornare in futuro prepotentemente all’attacco, soprattutto se l’appoggio a Kiev dovesse andare a scemare. Uno scenario che potrebbe concretizzarsi soprattutto se il prossimo inquilino della Casa Bianca dovesse essere Donald Trump, come ben sa lo stesso presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

“Se le politiche del prossimo presidente, chiunque sia, saranno differenti, più fredde, più frugali, credo che questi segnali avranno un grande impatto sul corso della guerra in Ucraina”, ha risposto a cuore aperto alla domanda sulla possibile vittoria elettorale del tycoon che avrebbe, ha riconosciuto Zelensky, “una politica definitivamente diversa” da quella dell’attuale amministrazione.

Lo stesso Zelensky, che si è comunque detto “fiducioso” che gli Stati Uniti non tradiranno l’Ucraina, è volato nei giorni scorsi a Washington, preoccupato per lo stallo sugli aiuti militari al suo Paese da settimane spiaggiati al Congresso, dove la componente repubblicana ha già fatto capire che aria tirerà se il Gop dovesse tornare a dirigere gli Stati Uniti. I rapidi cambiamenti internazionali e i contrasti con il capo delle forze armate Zaluzhny diventati pubblici hanno convinto il leader ucraino a mettere un po’ da parte quella spavalderia che in passato lo aveva portato a sostenere con certezza che l’Ucraina avrebbe vinto la guerra. Il 2023, ha ammesso durante la sua conferenza stampa di fine anno, “è stato un anno difficile”.

E un anno difficile, anzi drammatico, lo hanno vissuto anche i palestinesi della Striscia di Gaza. Il massacro ad opera di Hamas e la presa di oltre 200 ostaggi ha letteralmente shockato Israele, che in una prima fase ha reagito prevedibilmente con furia cieca mettendo a ferro e fuoco l’enclave.

Da settimane si rincorrono gli appelli, soprattutto da Washington, che esortano lo Stato ebraico a un cambio di passo nella Striscia e a condurre operazione ‘chirurgiche’ che prendano di mira i responsabili di Hamas, riducendo al massimo le perdite tra i civili. Ma il bilancio è già superiore a 20mila morti, molti dei quali bambini, ed il primo ministro Benjamin Netanyahu continua con il suo progetto di distruggere definitivamente Hamas e non sembra intenzionato, almeno a parole, ad allentare la morsa su Gaza.

Mentre i cannoni continuano a sparare, negli ultimi giorni sembra essere riemerso qualcosa di simile a un negoziato. Di nuova fase, che potrebbe comprendere una ripresa di colloqui con Hamas per gli ostaggi, accompagnata da un cessate il fuoco di due o più settimane seguito da un graduale ritiro delle truppe israeliane dal nord di Gaza, ha parlato apertamente David Ignatius del Washington Post, sempre molto informato sui dietro le quinte della politica internazionale. Fonti dell’intelligence egiziana coinvolte nei colloqui hanno riferito che Hamas avrebbe respinto una prima offerta israeliana di una tregua, sostenendo che non accetterà fino a quando non sarà in vigore una pausa nei combattimenti. L’offerta prevedeva uno stop di una settimana delle operazioni a Gaza in cambio del rilascio di 40 ostaggi.

Intanto al Palazzo di Vetro, dopo giorni di discussioni in cui ogni parola è stata pesata con il bilancino cercando formule diplomatiche che non scontentassero nessuno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede maggiori aiuti per la popolazione di. Il testo, che non cita in alcun modo il cessate il fuoco, è stato approvato con il voto favorevole di 13 Paesi membri, mentre gli Stati Uniti e la Russia si sono astenuti. Nel frattempo a Gaza si continua a morire.

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