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I veri eroi e l’arte della gentilezza. Intervista a Bea Buozzi

Successo de “L’anno delle parole ritrovate” che l’ha resa finalista al Premio Bancarella 2023 Dopo il successo de “L’anno delle...

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Successo de “L’anno delle parole ritrovate” che l’ha resa finalista al Premio Bancarella 2023

Dopo il successo de “L’anno delle parole ritrovate” che l’ha resa finalista al Premio Bancarella 2023, la scrittrice Bea Buozzi è tornata in libreria con “L’anno dei destini incrociati”, Morellini Editore.

Ritroviamo ancora una volta i condomini del più famoso palazzo dal portone turchese, in stile liberty nella cosmopolita Milano e il Macondo, il locale e punto di ritrovo in cui gli ingredienti che primeggiano sono l’amicizia e la condivisione. Ancora una volta i protagonisti di questo libro si ritroveranno ad affrontare nuove e avventure e vicissitudini nel corso di un anno che riserverà loro tante sorprese e conquiste.

Quello di Bea Buozzi   è un romanzo corale che trasuda empatia. Sin dalle prime pagine è inevitabile affezionarsi ai suoi personaggi e ritrovarsi a fare il tifo per loro quando si ritrovano a fare i conti con le proprie inquietudini e fragilità.  Le storie narrate trasudano un grande senso di umanità e infondono ottimismo e vitalità. Spicca “l’arte della gentilezza” coltivata con gesti semplici ed essenziali che contraddistingue i personaggi.

Un romanzo degno di nota che si legge con tanta curiosità e che invita il lettore ad esplorare le innumerevoli sfaccettature delle relazioni umane in un’epoca che ha tanto bisogno di autenticità e condivisione vera. In questa intervista Bea Buozzi ci racconta di com’è nata l’idea di questa trilogia di successo e con lei discutiamo di “arte della gentilezza” e di “destini incrociati”.

Com’è nata l’idea di scrivere questa trilogia con protagonisti gli inquilini di un condominio molto singolare?

Si tratta di un percorso cominciato nel 2021 con “L’anno dei nuovi inizi”, proseguito nel 2022 con “L’anno delle parole ritrovate”, finalista al Premio Bancarella 2023 e culminato con “L’anno dei destini incrociati” L’intenzione era quella di raccontare gli anni post-pandemici, con il registro della commedia corale dove un gruppo di amici e di condomini si trovava a commentare o a vivere in presa diretta quanto stava accadendo. Dal “diario di bordo” di anni incredibili è nato il cronoromanzo, dove, come in una serie televisiva, i protagonisti seguono una linea orizzontale (la trama della storia che li coinvolge) e i fatti di cronaca si inseriscono come episodi, verticali e autoconclusivi.  Dove i crocevia sono pianerottoli e ascensore di un palazzo nel centro di Milano e un locale, il Macondo, un meneghino Central Park.

C’è un protagonista al quale sei particolarmente legata e perché?

Ogni episodio ha un protagonista ma nel “L’anno dei destini incrociati” ce ne sono addirittura due. Oreste, il portinaio, apparentemente burbero ma di gran cuore. Da milanese esasperato si trasformerà in un uomo di passioni e principi. La seconda è, senza dubbio la vedova Merlizzi. Anche lei apparentemente scostante e impicciona, addolcita da quando nella sua vita è entrato Vlad, un bambino ucraino sopraggiunto nel condominio dopo lo scoppio della guerra.

Per te quali sono i “destini incrociati”?

È la metafora dei protagonisti e delle loro vite che mutano come gli scambi di un treno, in modo inaspettato e imprevedibile.

Colpiscono gli atti di gentilezza che caratterizzano le relazioni tra i protagonisti del tuo romanzo. Che importanza ha per te “l’arte della gentilezza” e come coltivarla al giorno d’oggi?

È un cardine portante del mio stile di vita. Ragion per cui i miei personaggi la applicano con facilità. Non ho la ricetta ma forse per coltivarla basterebbe implementare una famosa regola aurea. Non solo il classico “non fare ad altri ciò che non vorresti venisse fatto a te” ma “fai ciò che puoi di quanto vorresti venisse fatto a te.” È uno specchio rovesciato ma se tutti ci attivassimo su questo fronte forse qualche risultato cominceremmo a ottenerlo anche a livello macroscopico.

Il tuo romanzo ci insegna che i “veri eroi” sono quelli che compiono atti straordinari nell’ordinario. Per te come e quali sono?

Gli eroi sono persone normali che agiscono in modo eccezionale senza farlo “pesare” agli altri. Forse addirittura senza rendersene conto, tanto che quando glielo fanno notare, si stupiscono. Ed è forse il non saperlo che li rende speciali: i veri grandi non gridano roboanti ma sussurrano con i fatti.   

Nel tuo romanzo scrivi “Non vivere la vita che gli altri di aspettano da te”. Queste parole rimarcano l’importanza di vivere da protagonisti la propria esistenza. Come possiamo farlo?

Se avessi avuto la ricetta l’avrei applicata su di me. Credo però che ognuno abbia ambizioni o desideri che per inconciliabilità con la vita reale, o anche semplicemente per timore che non si possano realizzare, relega in un cassetto. Non importa se siano sogni materializzabili o vere utopie. Quel cassetto forse va riaperto. Alla peggio non cambierà nulla ma se dovesse andare bene potrebbe cambiare tutto.

Che legame hai con la città di Milano che è la location prediletta per le tue storie?

Milano è la cornice ideale: una signora eclettica e trasformista. Mai uguale a sé stessa, regala situazioni e contesti cosmopoliti difficilmente reperibili in altre città d’Italia. È una delle mie muse, lo ammetto.

Come e quando è nata la tua passione per la scrittura?

Credo di avere sempre scritto. Dai cinque anni in poi. Poi, a un certo punto la voglia di raccontare ha preso il sopravvento.

Progetti futuri…

Il Macondo avrà sempre storie da raccontare ma l’idea è di prendere un “anno sabbatico” con una storia di famiglia che mi riporterà in provincia. Vedremo, però, se gli inquilini avranno la pazienza di aspettare. Altrimenti, chissà!

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