Calo dell’ottimismo nel secondo semestre del 2023: Tensioni geopolitiche e incertezze economiche influenzano le aziende globali, secondo il rapporto di Grant Thornton.
Nel secondo semestre del 2023 si assiste ad un calo dell’ottimismo da parte delle aziende globali, dal 67% al 65% (-2% rispetto al primo semestre 2023), con un decremento più netto in Europa, dove l’indice di fiducia economica si abbassa dal 56% al 51% (-5%), e in Italia, in discesa dal 46% al 43% (-3%). E’ quanto emerge dall’ultimo International business report (Ibr), analisi che il network di consulenza internazionale Grant Thornton effettua a livello globale sui dirigenti di oltre 2.500 imprese del mid-market.
A destare preoccupazione sono le prospettive economiche incerte a causa delle tensioni geopolitiche e delle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese. Nonostante il leggero calo (-1% rispetto al 1° semestre 2023), l’incertezza economica rimane ancora il vincolo più frequentemente riportato a livello globale (57%), in Europa (47% vs 49%) e in Italia, dove il dato resta stabile al 55%. A seguire, i principali ostacoli alla crescita vengono individuati nei costi del lavoro (51%) e dell’energia (52%) e dalla disponibilità di forza lavoro qualificata (50%), sebbene tutti i dati mostrino un evidente miglioramento che, seppur in modo marginale, riflette la minore preoccupazione delle aziende rispetto al semestre precedente.
A questo quadro di incertezza si contrappone un numero significativo di aziende che si aspetta un aumento della redditività (in crescita dal 59% al 60%) per il prossimo anno, attribuibile principalmente al fatto che l’inflazione è stata messa sotto controllo. Una tendenza contraria mostra l’indice in Europa in lieve discesa, dal 45% al 42%, così come in Italia, dal 43% al 42%. Il miglioramento atteso sulla profittabilità è ulteriormente rafforzato dal fatto che un numero inferiore di aziende (mondo dal 55% al 50%; Europa dal 50% al 47%; Italia dal 45% al 34%) prevede di aumentare i prezzi di vendita nei prossimi 12 mesi. A una crescita attesa della redditività si accompagna però una contrazione del numero di aziende che prevede un aumento dei ricavi il prossimo anno, che scende dal 60% al 59%. L’indice è in peggioramento anche in Italia (dal 56% al 54%) e in Europa (dal 54% al 53%).
Nonostante più della metà delle aziende globali preveda un aumento della redditività, il segmento del mid-market si mostra nel complesso in difficoltà, trovandosi a fronteggiare le molteplici sfide poste dall’economia globale. Questa incertezza trova riscontro anche nell’esiguo aumento (+1%) del numero di imprese che prevede di assumere personale nel corso di quest’anno, che passa dal 50% al 51%. In Europa le aspettative di assunzione calano dal 41% al 39%, ma il pessimismo è più marcato in Italia, con una diminuzione di ben 10 punti percentuali (dal 43% al 33%). Resta stabile invece (83%) il numero delle aziende che prevede un possibile aumento dei salari, mentre le imprese italiane si mostrano più fiduciose (in leggera ascesa dal 67% al 69%), seguite da quelle europee (dal 78% al 79%).
Prospettive poco promettenti anche per il commercio internazionale, probabilmente a causa del diffuso sentiment di sfiducia verso scenari geopolitici incerti. Le aspettative di espansione sui mercati esteri mostrano infatti un andamento in frenata, con il 43% delle aziende ottimiste su una crescita dell’export (47% nella prima metà del 2023); una tendenza analoga si riscontra in Italia e in Europa, che vedono entrambe un decremento dal 37% al 35%.
Questo fenomeno è principalmente imputabile alla flessione (40% contro il 43% del primo semestre 2023) del numero di aziende che prevede di aumentare il numero di Paesi verso i quali esportare, a cui si accompagna un calo (42% vs 44%) delle aziende che prevedono di aumentare i ricavi connessi alle esportazioni. Le imprese si mostrano meno fiduciose anche in merito al ricorso a fornitori sui mercati esteri, che dovrebbe crescere secondo il 34% del campione (37% nei primi sei mesi dell’anno).
“Questo attento spaccato – commenta Emiliana M. dal Bon, partner Wi Legal, Formatrice e autore in materia di diritto del lavoro e strategie del lavoro – per certi versi disarmante, che si evince dal report di Enzima12 non può che imporre di fermarsi un attimo e ragionare; il fatto che il mercato del lavoro si sia evoluto in modo esponenziale negli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti: non c’è più tempo per essere pigri, sia per i lavoratori, che per le aziende, è tutto ciò altrettanto lampante”.
“Formazione e innovazione digitale – spiega – sinergicamente, sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per affrontare i prossimi anni, se vogliamo che le esigenze delle aziende trovino soddisfacimento nelle qualificazioni dei lavoratori e, reciprocamente, i lavoratori vengano gratificati nelle loro aspettative nel contesto lavorativo. Come appassionata e professionista della formazione non posso che essere d’accordo sulle conclusioni della ricerca effettuata e cogliere lo spunto per suggerire alle aziende di investire nel sapere per cavalcare l’onda senza esserne sopraffatti”,
“In un contesto in cui l’evoluzione digitale e il declino demografico pongono nuove sfide, l’Italia è chiamata ad un radicale cambiamento nel suo approccio all’apprendimento. Il completamento di un percorso formativo non può più essere considerato come la conclusione, anzi è il punto di partenza che accompagnerà i cittadini lungo tutta la loro vita”, sostiene Jacopo Mele, Venture capitalist.