Il coraggio delle “donne ciclopi” di oggi. Intervista a Manuela Piemonte

Dopo il successo de Le amazzoni, la scrittrice Manuela Piemonte è tornata in libreria con una raccolta di racconti “Le ciclopi” edita da Nutrimenti.

Protagoniste di questi quattordici racconti degni di nota sono donne di oggi che vivono situazioni di precariato non solo dal punto di vista lavorativo ma anche sentimentale. Sono donne che per resistere e trovare il proprio posto nel mondo sono costrette a chiudere un occhio su situazioni ingiuste nelle quali fanno fatica a fare emergere i propri ideali e a perseguire quei sogni sui quali hanno investito tempo, energie e speranze.

È facile entrare in empatia con queste donne e rintracciare nel loro vissuto e nelle loro esperienze sé stesse. la scrittura di Manuela Piemonte è introspettiva ed esistenzialista. Le sue protagoniste sono bene delineate dal punto di vista psicologico. Un libro che fa riflettere e anche sorridere perché l’ironia non manca ad arricchire e a rendere memorabile questa raccolta di racconti.

In questa intervista Manuela Piemonte ci parla delle innumerevoli ciclopi che nella società di oggi si rimboccano le maniche per abbracciare a pieno un po’ di serenità e la tanto agognata realizzazione personale e lavorativa.

Partiamo dall’origine, com’è nata l’idea di scrivere questi racconti che parlano delle donne di oggi?


Dopo aver scritto un romanzo ambientato nel passato, volevo concentrarmi su una forma narrativa più breve e su un un’ambientazione molto più vicina a me. Alcuni di questi racconti in quel momento li avevo già scritti, ma non avevo ancora in mente di farne una raccolta, finché mi sono resa conto che volevo mettere in scena una carrellata di personagge di oggi e che alcuni dei racconti che avevo scritto dialogavano tra loro per tematica.

 Le donne protagoniste della tua raccolta di racconti si ritrovano a chiudere un occhio per sopravvivere e soccombere a ingiustizie, sfruttamento e precariato sia lavorativo che sentimentale. Si può ritenere la loro propensione un atto di resilienza?


Con un punto di vista esterno, le vediamo resilienti ma molte delle protagoniste di questi racconti non abbraccerebbero con gioia questa parola, perché spesso chi le tiene in balia di precariato e ingiustizie (soprattutto lavorative) confida nei meccanismi psicologici che ci portano ad apprezzare la resilienza come una qualità positiva, per distorcerli e costringerle a una resilienza senza fine. La resilienza sarebbe per definizione una risposta a un’onda d’urto, a un evento circostanziato, ma spesso è un concetto che rimanda a un sottotesto che divide il mondo tra vincitori e vinti, e in cui i vinti sono resilienti al punto da trasformare la sconfitta in vittoria. Ecco, le ciclopi esplorano una dimensione che vorrebbe andare oltre questa dicotomia tra vincitori e perdenti o perlomeno la cercano e si domandano cosa ci sia oltre.

Nel tuo libro scrivi “i nostri diritti si perdono nei dettagli, le nostre vite sono accenti trasformati in apostrofi. Eppure se curassimo gli accenti non ci ritroveremmo tutti pieni di rabbia”. Potrebbe essere questa la soluzione per abbracciare la tanto agognata serenità?


Questa metafora fa parte di un racconto, “La rabbia”, che ha per sfondo il mondo del precariato nel lavoro culturale, un ambito in cui la cura professionale, soprattutto nell’editoria, richiede anche di riconoscere la differenza tra un apostrofo e un accento, sapere quando l’uno o l’altro è sbagliato al punto da diventare un errore ortografico. La donna che pronuncia queste parole sa che è un tipo di cura per la parola scritta che ormai va svanendo in molti ambiti, e parlando degli accenti non è in cerca di serenità ma sicuramente la auspica, visto che sta rivendicando dei diritti che le sono stati negati e che come gli accenti stanno svanendo a poco a poco.

 Ti sei mai sentita una “ciclope”?

Come molte persone ho sperimentato diverse forme di precariato lavorativo ed esistenziale, quindi senza dubbio mi sono sentita una ciclope a volte, poi la vita cambia e va avanti ma in questi racconti volevo puntare una lente d’ingrandimento principalmente sul momento in cui ci si guarda intorno e si ha l’impressione di non farcela, è un modo di sentire che secondo me ha un valore universale e profondamente umano, e infatti spesso l’urgenza narrativa che mi ha spinto a scrivere questi racconti è arrivata da un incontro con situazioni simili nella vita reale, alcune molto vicine a me, altre conosciute solo in modo indiretto. Da quando “Le ciclopi” è in libreria sto ricevendo molti messaggi, soprattutto di donne, che mi ringraziano per questi racconti perché ci trovano dentro la loro vita, magari leggono la raccolta proprio in un momento di fragilità in cui si trovano, e in tante mi hanno scritto che conoscendo le protagoniste dei miei racconti si sono sentite meno sole. 


C’è un racconto che ti sta più a cuore rispetto ad un altro e perché?


C’è ne uno un po’ diverso dagli altri, “La reliquia” che nasce dal materiale narrativo che ho scritto nel 2020, durante il lockdown. Era un momento particolare perché mentre il mondo si fermava io non potevo fermarmi, probabilmente è stato il periodo in cui ho lavorato di più negli ultimi anni, e rifugiarmi nel mondo immaginario, uscito dalla fantasia, di una storia di riscatto mi aiutava molto a restare concentrata sulla scrittura, che in quel momento mi sembrava quanto mai innecessaria.

 Pensi che lo spirito di adattamento e la capacità di multitasking di oggi sia una caratteristica prettamente femminile?


Solitamente fatico a usare il termine “femminile” soprattutto se applicato a qualità che possono essere e, sono convinta siano, trasversali. In generale credo che il pensiero secondo cui alcune caratteristiche siano soltanto femminili a volte diventi un’arma a doppio taglio, perché è lo stesso pensiero che giustifica le discriminazioni e la disparità di genere, un modo per addossare alle donne responsabilità che dovrebbero essere condivise, in più in alcuni casi serve addirittura a dire a chi si identifica come donna che non è abbastanza “femminile” per esserlo… Spesso leggiamo di storie “al femminile” in riferimento ai libri o alle serie tv o ai film, nei libri per esempio questo aggettivo ricorre spesso per definire ciò che scrivono le scrittrici, quasi sottintendendo che la norma della letteratura sia “maschile” e che quando si devia dalla (supposta) norma serva una specificazione, specificazione per me appunto ingannevole. Credo lo stesso valga per lo spirito di adattamento e la capacità di multitasking, non sono prettamente femminili ma umani e se proprio le vediamo emergere di più nelle donne è perché spesso le donne devono ricorrere a determinati meccanismi per rivendicare un posto e i diritti che da tempo e ciclicamente vengono loro negati.

Un consiglio che daresti a tutte le ciclopi di oggi…

Di tenere gli occhi aperti, anche quando il mondo vorrebbe chiudere o offuscare il loro sguardo.

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