Governo: Si tratta per una riforma della Giustizia e per la separazione delle carriere.

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Presto sarà presentata la nuova proposta nordio sulla separazione delle carriere

Separazione delle carriere per i magistrati, cos’è e come funziona: gli step della riforma voluta dal governo Si tratta di una riforma di cui si parla da anni, tra chi è a favore e chi è contrario.

Adesso tra stop e frenate il testo potrebbe arrivare in consiglio dei Ministri dopo Pasqua.

Allora in consiglio dei Ministri approderà quello che viene annunciato come «un corposo pacchetto di misure» sulla giustizia, a partire dall’argomento più delicato di tutti: la separazione delle carriere dei magistrati.

Il tema, presente nel programma di governo di Giorgia Meloni, è stato per mesi agitato dal guardasigilli Carlo Nordio come uno spettro durante i vari scontri tra l’esecutivo e le toghe. E adesso, dopo varie frenate, potrebbe diventare realtà.

I tempi per la realizzazione Calendario alla mano la faccenda appare però un po’ più contorta di quanto viene sbandierato.

La stima più verosimile dei tempi della separazione del carriere ci porta a maggio, giusto in tempo per la campagna elettorale delle europee, step dopo step.

Lunedì, poi, come rivelato da Meloni in persona, la premier ha incontrato Nordio per fare un punto della situazione. La partita, si capisce, è di quelle grosse e se qualche divergenza tra Nordio e Meloni è nota alle cronache da diverso tempo, l’obiettivo di arrivare alla separazione delle carriere appare come un’ottimo motivo per non far deflagrare lo scontro.

Del resto, parliamo del tema che più di ogni altro sembra stare a cuore al ministro Nordio, che avrebbe peraltro voluto presentare una sua proposta già diverso tempo fa. Intanto il plenum del Csm ha approvato a maggioranza (con otto astensioni) un parere sulle misure contenute nello schema di decreto attuativo della riforma Cartabia, soprattutto per quello che riguarda la parte delle cosidette «pagelle» ai magistrati.

Il documento, che verrà trasmesso a Nordio, parla di «serie criticità» sulla «definizione delle gravi anomalie rilevanti ai fini della valutazione della capacita del magistrato, attraverso il ricorso a formule, per un verso, particolarmente ampie, per altro verso, tautologiche, così da prestarsi a valutazioni difformi».

Così il Csm ritiene «auspicabile una maggiore aderenza del testo» al «relativo principio di delega», con la «soppressione» della parte dedicata alla definizione del concetto di grave anomalia, «lasciando al Consiglio Superiore, in sede di normazione secondaria, il compito di dettagliare il contenuto della norma».

Che cosa vuol dire separazione delle carriere ?

Ma per capire di cosa si discute è importante capire in cosa consiste la separazione delle carriere e il suo significato, per farlo è necessario dunque fare qualche passo indietro.

Partiamo dal presupposto che nel nostro Paese i magistrati requirenti – ovvero i pubblici ministeri che conducono le indagini – e i magistrati giudicanti – cioè i giudici dei tribunali e delle corti – seguono la medesima carriera e quindi sono legati ad un unico concorso.

I magistrati si distinguono poi in base alle funzioni che svolgono, garantendo sempre che la magistratura sia autonoma, indipendente da ogni tipo di influenza (politica prima fra tutte) e che segua strettamente la legge italiana così come indicato la Costituzione.

Chi spinge per la separazione vorrebbe che i futuri giudici e pm decidano da subito quale carriera imboccare, decidendo tra un programma o un altro, sin dall’inizio. Eliminando dunque l’appartenenza ad un unico ordine giudiziario di giudici e pubblici ministeri.

Con la riforma Cartabia un passo in questo senso è già stato fatto. Si è trattato di una riforma giunta a destinazione dopo una complicata mediazione politica tra posizioni molto distanti nel governo di larghe intese con a capo Mario Draghi, i passaggi di funzioni sono stati ridotti nel corso del 2022 da 4 a 1, cosa che dovrebbe nei fatti ridurre ai minimi le effettive richieste di transizione da una funzione all’altra.

Nel 2022 le richieste di passaggio di funzione sono state appena una ventina (dato provvisorio) su un organico di quasi 10.000 magistrati, con le nuove regole in vigore questi numeri marginali sono destinati a ridursi ancora perché la legge prevede che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (art. 12) possa avvenire soltanto una volta nel corso della carriera entro 10 anni dalla prima assegnazione delle funzioni.

Trascorso tale periodo, è ancora consentito, per una sola volta, il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, purché l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali; il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste. Nella pratica il secondo passaggio implica che si cambi lavoro, cioè si finisca ad agire su un diverso rito procedurale, passando dal penale al civile o al diritto del lavoro. Una cosa difficilissima e assai improbabile perché implica la fatica improba di acquisire gli automatismi di un rito processuale diversissimo.

La questione in discussione è estremamente complessa e sta creando divisioni non solo nel mondo della politica, ma anche, e soprattutto, in quello della magistratura. Da una parte ci sono coloro che sostengono la necessità di riformare il sistema, mentre dall’altra ci sono coloro che si oppongono fermamente a tale cambiamento. Chi è favorevole alla separazione delle carriere pone l’accento sulla presunta mancanza di responsabilità del sistema giudiziario italiano, sostenendo che in uno stato come l’Italia i magistrati dovrebbero limitarsi a interpretare e applicare le leggi in modo imparziale. Questi sostenitori ritengono che il sistema attuale renda meno equilibrate le parti coinvolte nel processo, ovvero il pubblico ministero e l’avvocato, di fronte al giudice. Nel corso del tempo, personalità di spicco come Giovanni Falcone, Giovanni Conso, Sabino Cassese e Giuliano Vassalli hanno espresso il loro sostegno a una riforma che separi la magistratura giudicante da quella requirente.

D’altra parte, chi difende il mantenimento della carriera comune sottolinea l’importanza di conservare un percorso formativo unico per i magistrati, come previsto dalla Costituzione, al fine di garantire una cultura giuridica condivisa tra giudici e pubblici ministeri. Secondo questa visione, se un pubblico ministero condivide il metodo di ragionamento e la formazione del giudice, è meno probabile che si trasformi in un “super poliziotto” e sarà più incline a valutare in modo accurato la solidità delle proprie ipotesi di accusa prima di presentarle al giudice.

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