La fibromialgia è una malattia cronica che influenza molto la qualità della vita di un soggetto.
A soffrire di essa sono circa due milioni di italiani di un’età compresa tra i 25 e i 55 anni. Colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. È caratterizzata da dolore cronico, stanchezza, rigidità muscolare, sbalzi d’umore e insonnia. Purtroppo di essa non si conoscono ancora le cause tanto da risultare difficile diagnosticarla accuratamente e tempestivamente.
Per molti anni la diagnosi di fibromialgia è stata sottoposta a critiche da medici e studiosi che l’hanno ritenuta “la malattia che non c’è”, una sorta di malattia immaginaria. Il dottor Francesco Garritano, biologo nutrizionista, nel suo libro “La fibromialgia è una sfida: tu puoi vincerla. Spiegazioni utili e consigli pratici per affrontare una sindrome reale e invalidante” Edizioni Lswr, ci spiega che è possibile agire positivamente sul sintomo del dolore che è alla base di questa malattia cronica. Esistono infatti degli alimenti che possono essere benefici all’interno della dieta e altri invece no
In questa intervista il dottor Francesco Garritano ci fa chiarezza sull’alimentazione consigliata per chi soffre di fibromialgia.
Dottor Garritano, come è possibile agire positivamente sul sintomo del dolore mediante l’alimentazione?
Inserendo nella propria dieta più alimenti contenenti serotonina e vitamina D e limitando, contemporaneamente, alimenti che possono aumentare i sintomi del dolore, come glutine e latticini. Come evidenziato dalla dott.ssa Laura Bazzichi, dirigente medico, responsabile dell’Ambulatorio di fibromialgia e fatica cronica dell’Unità operativa di Reumatologia dell’azienda ospedaliero-universitaria pisana, la nutrizione corretta rappresenta un trattamento promettente anche nel caso della sindrome fibromialgica, una malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso e stanchezza che affligge circa un milione di italiani.
Quanto è importante personalizzare il proprio piano alimentare?
Ogni piano alimentare deve essere cucito sulla singola persona, considerando l’intensità dei suoi sintomi e le sue peculiarità della persona. Facciamo un esempio: frutta e verdura sono molto importanti per alcalinizzare l’organismo. Sicuramente mangiare quantità generose di frutta e verdura tende a favorire il processo di riduzione dell’acidosi. Ma il piano alimentare è da stabilire con il professionista. Difatti, se un soggetto ha istamina alta non potrà assumere spinaci. Oppure, se è allergico al nichel, molto presente in determinati tipi di frutta e verdura, la scelta dovrà essere orientata con attenzione. Deve essere sempre il nutrizionista a eliminare o a limitare l’assunzione di qualche alimento nella dieta.
La serotonina aiuta davvero contro la percezione del dolore?
La serotonina è comunemente chiamata “ormone della felicità” poiché regola l’umore; inoltre è un precursore della melatonina, l’ormone che regola la qualità e la durata del nostro sonno. Ma uno studio recente ha evidenziato come essa sia anche in grado di alterare la percezione del dolore. Diversi studi hanno osservato che nei topi in cui si stimolava la produzione di serotonina, vi era una più bassa percezione del dolore rispetto agli altri. Questo dato è molto interessante, perché apre nuove frontiere nello studio del dolore cronico. Con l’alimentazione è possibile contribuire a ristabilire i livelli di serotonina assumendo il suo precursore, ovvero il triptofano. Si tratta di un amminoacido essenziale che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare e che deve essere quindi assunto attraverso il cibo. In primis, però, è necessario accertarsi di non avere patologie a livello intestinale che potrebbero alterarne l’assorbimento: se c’è disbiosi intestinale, infatti, avremo meno serotonina.
Come fare il pieno di serotonina a tavola?
I cibi ad alto contenuto di triptofano sono soprattutto i cereali integrali, il miglio, la quinoa, l’amaranto, il grano saraceno; altri alimenti amici sono cioccolato fondente, frutta secca, pollo e tacchino. Buona la concentrazione anche nel pesce, tra cui acciuga, orata, spigola, sogliola, merluzzo, tonno e bottarga. Non bisogna dimenticare infine le uova. Il triptofano si trova anche nei legumi, in particolare ceci e fagioli, e anche in alcuni latticini come la ricotta e lo yogurt. Tra le verdure, sono particolarmente ricche di triptofano l’indivia, i cavoli, gli asparagi, i fagiolini, la lattuga, la bieta, gli spinaci, le zucchine.
Studi scientifici dimostrano che anche la vitamina D gioca un ruolo importante nella percezione del dolore. Come assumerla?
La domanda a questo punto sorge spontanea: sapete quali sono nel vostro organismo i livelli di vitamina D? La integrate in modo corretto, ovvero tutti i giorni? Probabilmente no, questo perché si associa la vitamina D solo al benessere delle ossa, ignorando che è implicata anche nei processi legati al dolore. Soprattutto per i fibromialgici, è utile monitorare i livelli di vitamina D e intervenire con opportune integrazioni laddove si riscontri una carenza. Inoltre la mancanza cronica di esposizione alla luce solare (dovuta soprattutto all’attività lavorativa che ci chiude dentro casa per ore), spesso associata a diete vegane o troppo restrittive, è da identificare come una delle cause principali della carenza di questa importante vitamina. La soluzione va da sé: impariamo innanzitutto a vivere il più possibile all’aria aperta durante il giorno, per quanto gli impegni quotidiani ce lo possano consentire, cerchiamo di nutrirci in modo consapevole. Tra gli alimenti a più alto contenuto di vitamina D ricordiamo l’olio di fegato di merluzzo, i pesci grassi (come sgombro, aringhe, tonno, carpa, salmone, molluschi, ostriche e gamberi). Da non dimenticare poi il tuorlo d’uovo e i funghi (unica fonte vegetale).
Diversi studi su soggetti fibromialgici hanno dimostrato che, seguendo una dieta priva di glutine, i pazienti hanno tratto significativi giovamenti per ciò che riguarda il sintomo del dolore. Ma come agire a tavola per limitare l’assunzione del glutine?
La dieta che propongo può implicare la rotazione e talvolta l’eliminazione, naturalmente per un lasso di tempo variabile e limitato, degli alimenti che contengono queste proteine: i già menzionati cereali (frumento, segale, orzo, farro, kamut ecc.) e i loro derivati (pane, pasta, zuppa a base di cereali citati, ma anche birra, lievito madre ecc.). Alle volte prediligo i cereali antichi, che presentano basse quantità di glutine (come monococco, tumminia o timilia, russello, solina, maiorca ecc.), e/o li alterno con gli pseudocereali naturalmente privi di glutine (come il teff, il sorgo, l’amaranto, la quinoa, il buon riso italiano).
Cosa si dovrebbe invece limitare a tavola?
È importante tenere a mente che i prodotti latteo-caseari possono contribuire allo sviluppo di dolori articolari: l’alto livello di proteine presenti nella caseina innesca infatti infiammazione e dunque dolore. Per questo il mio consiglio è di sostituirlo a colazione con bevande vegetali mentre, per tutti i derivati, prestare attenzione al fattore tempo. Per esempio lo yogurt dei supermercati presenta la problematicità di avere una fermentazione di sole otto ore, questione che si ovvia se lo yogurt viene fatto in casa (tuttavia persiste il dubbio sulla qualità del latte che viene utilizzato). Ma sorge spontanea una domanda: se si lascia fermentare lo yogurt per almeno 24 ore, lattosio e caseine vengono completamente digeriti? Lattosio sì, ma non siamo del tutto certi della scomparsa della caseina. Per quanto riguarda infine il formaggio stagionato 36 mesi, la mia risposta è che purtroppo neanche in questo caso siamo sicuri che la degradazione delle caseine sia avvenuta totalmente. Quindi eviterei i latticini senza ombra di dubbio. D’altra parte, se ci riflettiamo un po’, ci rendiamo conto che l’uomo sta andando contro natura. Avete mai visto un animale bere il latte o alimentarsi con i derivati del latte di un altro animale anche da adulto? Immagino di no: solo l’uomo in età adulta continua a nutrirsi di un latte diverso da quello della propria specie, pur non avendone bisogno.
Come e in che misura l’attività fisica può aiutare a percepire meno il dolore?
In caso di fibromialgia è consigliato fare attività fisica a regime totalmente aerobico (camminate prolungate a basso ritmo, ginnastica dolce, yoga, pilates).
Ovviamente la durata e lo sforzo fisico devono tenere in considerazione la condizione del soggetto fibromialgico: se la patologia è acuta, lo sforzo dovrà essere lento e controllato e, di conseguenza, le attività menzionate dovranno essere bilanciate. Molto utile può essere anche introdurre una ginnastica respiratoria, con una forte stimolazione diaframmatica.