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“La scala capovolta”, l’album poetico ed evocativo ispirato ai racconti di Calvino.

Intervista al compositore Enrico Brion “La scala capovolta” è il nuovo disco del compositore veneziano Enrico Brion con l’AstroCo(s)micOrk, uscito il...

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Intervista al compositore Enrico Brion

La scala capovolta” è il nuovo disco del compositore veneziano Enrico Brion con l’AstroCo(s)micOrk, uscito il 20 maggio su tutte le piattaforme digitali, distribuito dall’Angapp Music.

Liberamente ispirato a Le Cosmicomiche di Italo Calvino, il disco è stato concepito nel 2023, anno del centenario della nascita dello scrittore. Un’orchestra, l’AstroCo(s)micOrk, formata da legni, ottoni, archi, batteria/percussioni, organico a cui si aggiungono alcuni ospiti solisti, fra cui la voce. Descrittivi ed evocativi i momenti orchestrali, che prendono molto spazio dei 54 minuti dell’album, fra temi che si rincorrono e alcuni giochi ritmici. Ma non mancano anche brevi episodi di improvvisazione libera

Numerosi i musicisti coinvolti in questo progetto creativo di cui ci parla in questa intervista Enrico Brion.

Com’è nata l’ispirazione dei pezzi che compongono La scala capovolta?

Se intende com’è nata l’idea del progetto, allora devo raccontare di quel giorno di marzo 2023 quando realizzai che si avvicinava il centenario della nascita di uno dei miei riferimenti letterari, Italo Calvino, e sentii l’impulso a scrivere questo mio omaggio, e mi ci buttai subito, così, su due piedi, senza sapere bene cosa avrei fatto di questo lavoro.
Se invece mi si chiede nello specifico da cosa sono partito per scrivere ciascuno dei pezzi che compongono l’album, allora devo sgomberare il campo da un possibile equivoco legato alla parola ‘ispirazione’.
L’ispirazione può essere un momento particolarmente produttivo in cui tutte le parti del nostro essere sono concentrate in un unico punto e noi siamo completamente connessi al nostro agire. Questo ‘stato di grazia’ a volte si verifica e anch’io l’ho sperimentato, è un evento indotto dalla nostra concentrazione e chissà da quali particolari condizioni mentali. Accade, ma non possiamo affidarci a questa eventualità per scrivere musica o dipingere un quadro o mettere in atto qualsiasi altra azione creativa, compresa quella di risolvere un problema in ufficio o nella nostra vita. Comporre musica è un mestiere come lo sono l’elettricista o il panettiere, cioè richiede una competenza specifica e molta pratica. Da alcuni anni tengo un laboratorio di composizione che ho intitolato ‘Non sono Mozart!’ proprio per sottolineare l’aspetto pragmatico dello scrivere musica: se non sono un genio e le idee non mi piovono dal cielo, come faccio a farmele venire e soprattutto a dar loro continuità?
Detto questo, stabilito che comporre è artigianato, posso finalmente provare a rispondere alla domanda. Sono partito da suggestioni letterarie, ma poi la musica e le sue ragioni hanno guidato il lavoro. Questo è nelle cose, perché la traduzione da un ambito artistico a un altro non può mai essere letterale. Al massimo può essere descrittiva o, come preferisco, evocativa. E comunque la musica prende sempre la sua strada, vive indipendentemente da ciò che l’ha ispirata.   

Tre aggettivi per definire La scala capovolta?

Questo mi mette un po’ in imbarazzo. Ne dirò due che mi sono stati detti da altri, e che mi lusingano: evocativo, poetico. A questi non posso che aggiungere… sottosopra! Il disco è una contaminazione tra le tue influenze musicali. Si percepiscono la musica classica, il jazz e l’improvvisazione. A quale di questi generi sei più legato e perché? È vero che in questo album convivono vari aspetti e che, di volta in volta, ne può emergere uno rispetto agli altri. Ma è anche vero che non si tratta di una somma di cose, ma piuttosto di un’integrazione. Sono convinto che, una volta elaborate le diverse influenze, queste si trasformino in un’altra cosa ancora. Perciò sono legato al jazz, alla classica, all’improvvisazione, e alla musica non meglio definibile di questo disco.
Il mio primo album (del 2003) è un disco di jazz, con straordinari jazzisti, ma già mi discostavo dal mainstream, non per una posa o una scelta programmatica, ma perché avevo già elaborato diverse esperienze. Forse si erano sedimentati in me ascolti che non ricordo nemmeno di aver fatto.
Quando poi più tardi sono venuto a contatto in modo più approfondito con la classica – intendo quella del 900 e la musica contemporanea – è stato naturale che questa influisse nel mio sentire e nella mia scrittura. Nel secondo album a mio nome (Quadrivio, Zone di Musica – 2012) c’è un atteggiamento diverso rispetto al primo disco, una costruzione dei pezzi più rigorosa, più attenta a una coerenza strutturale, e meno cantabile anche se nei miei dischi non ho mai abbandonato del tutto l’idea del tema. Nei dischi no, ma accanto a quello che ho pubblicato, che bene o male è sempre riconducibile al jazz, ho una produzione di musica ancora più disciplinata, più razionale e geometrica, che spero un giorno di poter pubblicare.
Ne La scala capovolta, infine, l’influenza maggiore è proprio il 900, quello di Bartók, Šostakovič, Stravinskij. È stato un ritorno al tema come elemento portante. In questo mio lavoro poi avevo a disposizione una bella tavolozza di colori, per cui mi sono molto divertito con i timbri e con le combinazioni, dando molta rilevanza alle trame sonore.
L’improvvisazione, infine, è un altro capitolo importante. Non è propriamente un genere, ma una pratica che si può ritrovare in tante musiche diverse, da quella popolare di molti luoghi del mondo, al rock, al blues, al jazz e in mille altri contesti.
L’improvvisazione in questo disco è di due tipi. Ci sono alcuni interventi improvvisativi all’interno di una struttura, ovvero nel recinto di un numero di battute definito e su una successione di accordi, così come si fa negli standard jazz. Ci sono poi dei momenti di free, ovvero improvvisazione libera da struttura e armonia. Questi momenti in verità sono pochi e sempre limitati a uno o due strumenti, ma sono importanti nella costruzione dell’insieme. Le brevissime incursioni del duo fagotto-percussioni, per esempio, sparse qua e là nel disco, costituiscono un contrappeso grottesco e sbracato al lirismo dell’orchestra, e assume un senso solo in questa antitesi.
Insomma, la risposta è: sono legato a tutte e tre, perché in me sono una.
Ecco, scusate, bastava una riga per (non) rispondere!

Per quanto riguarda l’improvvisazione… che ruolo ha lo stato d’animo del momento?

Come in tutte le pratiche, se la mente è libera e c’è concentrazione, riesci a dare il meglio delle tue possibilità. Naturalmente il meglio delle possibilità dipende anche da quanto tempo, fino a quel momento, hai dedicato ad assimilare questa pratica, e quindi quanto le note fluiscono naturalmente, come parole di un discorso.

L’improvvisazione si può insegnare o nasce spontanea?

Se si possa insegnare, non lo so, ma sicuramente si impara. Messiaen diceva che non si può insegnare la composizione, si può insegnare l’analisi. Direi che lo stesso vale per l’improvvisazione. Che poi le due discipline sono molto simili. Infatti, si dice che l’improvvisazione sia una composizione estemporanea, e Schönberg scrisse che la composizione è un’improvvisazione lenta. Insomma, entrambe stanno sotto lo stesso tetto, hanno regole simili. Quando improvvisi, puoi farlo su una sequenza di accordi, oppure su una o più scale, oppure libero da qualsiasi vincolo armonico. E, se si tratta di accordi, questi possono essere collegati da una tonalità e da una consequenzialità, oppure no, possono essere isole, macchie di colore gettate sulla tela, e sei tu a doverle collegare. Perciò, le variabili sono molte e bisogna conoscerle bene, non solo teoricamente, ma nella pratica. E la pratica deve essere guidata da alcune regole (che possono cambiare, ma devono essere chiare). In questo senso l’analisi è determinante. Intendo: per prima cosa, sapere quello che hanno fatto gli altri prima di te, per imparare, e, secondo, essere in grado di capire il pezzo che hai davanti per poter gestire un assolo che sia efficace e incisivo.
Poi, sì, ci sono persone che nascono con un istinto musicale più sviluppato e alle quali improvvisare riesce più facile. Ma l’istinto, come sempre, ti può portare fino a un certo punto e lì si ferma. C’è da aprirsi il sentiero, per spostare un po’ più in là i propri limiti. Questo lo fai solo con lo studio.

Come coltivare e allenare l’improvvisazione musicale?

Come dicevo, con tanta pratica e studio preliminare. Quali siano i tipi di studi da fare è argomento piuttosto tecnico, ma diciamo che coinvolgono tutti i parametri musicali: la melodia, il ritmo, il timbro, l’armonia, la dinamica, la distribuzione dei suoni nel tempo… e, infine, la costruzione di un senso, di un pensiero musicale.

Delle Cosmicomiche di Italo Calvino qual è il tuo racconto preferito e perché?

Aiuto! Sono tutti bellissimi. Ultimamente ho riletto più volte l’intera raccolta e ogni volta scoprivo che anche quel racconto che inizialmente mi aveva colpito meno celava qualcosa che mi era sfuggito, un particolare, un significato, una frase rivelatrice. In tutti, naturalmente, c’è una grande ironia, un senso del paradosso. In qualcuno c’è anche molta poesia. Non a caso, forse, fra questi ci sono quelli dedicati alla Luna, come La Distanza della Luna, e come Le Figlie della Luna (contenuto ne Le Nuove Cosmicomiche). A La Distanza della Luna mi sono ispirato per scrivere alcuni brani fra cui A lei perduta e La scala capovolta, brano quest’ultimo che dà il titolo all’intero album. Perciò, se proprio devo scegliere, scelgo La Distanza della Luna.
Ma se ci ripenso direi Sul far del giorno. Nemmeno I dinosauri scarterei.
No, aspetta, ho cambiato idea: facciamo La Spiral… ok, fate voi.

Nel 2023 hai scritto la musica per il lungometraggio E oggi come va? della regista francese Nadine Birghoffer. Quanto ti ha formato artisticamente questa esperienza?

È stata una bella vicenda, anche umana. Stavo pensando all’allestimento di uno spettacolo di teatro-danza con parte della musica di questo disco (che ancora non avevo registrato). Così ho chiamato Adriano Iurissevich, un amico attore e regista che non sentivo da anni, per proporgli il progetto. Nel frattempo lui e Nadine Birghoffer stavano montando il film al quale lavoravano da un po’. Adriano aveva pensato a me per musicare una scena e mi avrebbe chiamato, se non lo avessi fatto prima io. Così, dopo diversi anni, ci siamo pensati e cercati a vicenda nello stesso momento. Mi hanno mostrato il film (con un montaggio provvisorio) e man mano mi spiegavano cosa avrebbero voluto.  Ogni personaggio doveva essere caratterizzato da una musica, la quale però in qualche modo doveva trasformarsi con loro nel corso della vicenda. A due di questi personaggi avevano già assegnato una canzone ciascuno, quindi non dovevo scrivere una musica ex-novo, ma arrangiare questi pezzi. Poi c’è una scena in cui i due personaggi, senza conoscersi, percorrono la stessa strada, incrociandosi. Per questa scena mi hanno chiesto di scrivere qualcosa che citasse entrambe le canzoni. E io, con grande soddisfazione, sono riuscito a sovrapporre le due melodie e costruire un pezzo efficace, che mi ha divertito molto.
Poi c’era un terzo personaggio sul quale ho dovuto scrivere da capo la musica. Nelle diverse scene, però, l’intenzione cambia e perciò quello che prima era incalzante, ricco di promesse, diventa riflessivo e malinconico. Ma questo è il mestiere del compositore: utilizzare uno stesso materiale (riconoscibile) dandogli però un aspetto diverso.
È stato molto interessante per me mettermi a servizio della storia e delle immagini. Non è come per un progetto mio in cui ho il pieno controllo e il potere decisionale. Devo dire, però, che il lavoro è filato liscio e i committenti da subito erano contentissimi. Probabilmente c’è stata un’affinità di intenti. Non è scontato che ciò accada.
Comunque, inizialmente ero stato chiamato per fare una scena. Meno male che me ne hanno affidate anche altre perché alla fine quella è stata tagliata. 

Progetti futuri…

Eh! Grazie per la domanda. Al momento sto lavorando agli arrangiamenti per un cantautore, ma in effetti ho sempre bisogno di un progetto mio da realizzare. Perciò sì, sto già pensando a diversi possibili lavori, ma non mi sono ancora focalizzato. Con quest’ultimo album ho capito che mi piace lavorare su una storia, un concept – come si dice. Ce ne sono un paio, di storie, che sto approfondendo. Una riguarda un uomo visionario rinchiuso tutta la vita in una struttura psichiatrica. Un’altra è una favola strampalata, un po’ sibillina, un po’ assurda, un po’ vera, che un fantastico pittore ha raccontato con un’opera in diverse tele. Ecco, vorrei narrare una di queste storie (o anche entrambe, perché no) con la mia musica.

 

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