Bandita la schwa

Bandita la schwa Bandita la schwa

Il Ministero dell’Istruzione vieta l’uso di asterisco e schwa nelle comunicazioni ufficiali.

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha diffuso una circolare destinata a tutte le istituzioni scolastiche italiane, stabilendo il divieto dell’uso dell’asterisco (*) e dello schwa (ə) nei documenti ufficiali. Una misura netta, che riafferma l’importanza della lingua italiana come strumento di comunicazione rigorosa e coerente, e non come terreno di sperimentazioni ideologiche o linguistiche.

Un provvedimento che tutela la lingua dalla confusione

La circolare sottolinea che l’introduzione arbitraria di segni grafici estranei al sistema grammaticale può compromettere gravemente la chiarezza dei messaggi istituzionali. I simboli in questione, largamente utilizzati da alcuni movimenti per introdurre presunte forme di neutralità di genere, vengono ora ufficialmente esclusi da ogni comunicazione scolastica. Il Ministero richiama le regole esistenti e invita a mantenere una forma espressiva accessibile, comprensibile e rispettosa della struttura linguistica nazionale.

Il sostegno dell’Accademia della Crusca

A sostegno di questa posizione si è espressa anche l’Accademia della Crusca, che da tempo solleva obiezioni sull’uso improprio di simboli come lo schwa. In più occasioni, i linguisti dell’istituzione hanno ribadito come tali forzature compromettano la leggibilità, generando testi ambigui e frammentati, in particolare per le persone con disabilità visive, per cui i software di lettura automatica non riconoscono adeguatamente questi segni.

Bandita la schwa

Arcangeli e la ribellione dei linguisti

Tra le voci più autorevoli nel dibattito c’è quella di Massimo Arcangeli, linguista e docente universitario, noto per la sua ferma opposizione all’introduzione dello schwa e di altre forme di “inclusività imposta”. Arcangeli, promotore della petizione “No allo schwa”, ha denunciato quello che definisce un tentativo di “colonizzazione ideologica del linguaggio”, sostenendo che modificare la lingua italiana con inserti estranei al suo sistema non significa rendere la comunicazione più inclusiva, ma piuttosto più elitaria e incomprensibile.

Una deriva elitaria mascherata da progresso

Il ricorso a simboli come lo schwa si è diffuso soprattutto in alcuni contesti accademici e attivistici, creando una barriera tra chi aderisce a questa “nuova ortodossia” e chi invece utilizza la lingua per ciò che è: un mezzo per farsi capire. Molti docenti e studiosi hanno sottolineato come queste iniziative abbiano finito per isolare il linguaggio, rendendolo meno democratico proprio mentre si professava l’intento opposto.

Quando la forma prende il sopravvento sul contenuto

L’inserimento di simboli non riconosciuti nella grammatica italiana ha avuto l’effetto di spostare il focus dalla comunicazione al formalismo ideologico. Più che un gesto di apertura, è parso spesso una forzatura autoreferenziale, che ha contribuito a confondere studenti e lettori. È anche per questo che alcuni educatori hanno suggerito che certe innovazioni, se adottate in classe, dovrebbero comportare serie conseguenze disciplinari, dal richiamo formale alla sospensione degli insegnanti che le promuovono apertamente nei testi scolastici.

Un ritorno al rigore, non alla censura

La circolare non vieta il dibattito sull’evoluzione del linguaggio, ma traccia un limite preciso tra la riflessione e la prassi istituzionale. Il linguaggio ufficiale non può permettersi ambiguità, né può diventare veicolo di progetti ideologici mascherati da progresso linguistico. Il tempo ha già dimostrato che lo schwa non ha mai trovato terreno fertile nella comunicazione reale: è rimasto un fenomeno circoscritto, effimero, alimentato più da interessi editoriali che da reali esigenze di riforma.

Una moda finita, un avvertimento chiaro

Con questa decisione, il Ministero chiude una parentesi che si è trascinata troppo a lungo, rafforzando l’idea che la lingua non può essere modificata a colpi di simboli estranei e irriconoscibili. Lo schwa, presentato come rivoluzionario, si è rivelato solo un artificio fragile, un tentativo di riforma che ha prodotto più confusione che inclusione. Le istituzioni scolastiche italiane sono ora chiamate a riportare al centro della comunicazione la chiarezza, la precisione e il rispetto delle regole condivise.

In copertina: Michela Murgia (1972–2023)
La scrittrice si era distinta per l’attiva promozione di questa moda linguistica, pubblicando il primo libro italiano di narrativa che adottava sistematicamente lo schwa.