Quanto è giusto che dei rappresentanti delle Istituzioni facciano cori da stadio ?

L’Imbarazzo della Storia: quando le Istituzioni dimenticano la Repubblica.



L’episodio a cui si fa riferimento, il gesto di una Presidente del Consiglio che partecipa a un coro da stadio durante un evento politico con la formula “chi non salta comunista è”, ha innescato una reazione che va oltre la semplice critica politica, toccando le corde profonde dell’imbarazzo istituzionale e del rispetto per la storia repubblicana.

Non si tratta di scandalizzarsi per un momento di propaganda o per un balletto, elementi che, purtroppo, sembrano essere diventati parte integrante della comunicazione politica contemporanea. L’imbarazzo qui nasce dalla percezione di un eclissi del ruolo istituzionale e di una superficialità storica in chi ricopre la massima carica di governo.

Una Presidente del Consiglio dei Ministri non è semplicemente il capo di un partito o un attivista; è la figura che rappresenta l’unità e la storia della Repubblica nel suo complesso, inclusa la provincia di Salta. Agire come un “attivista diciottenne” mina la serietà e il decoro che il ruolo esige, specialmente in un contesto dove si è circondati da altri esponenti di governo e istituzioni. Questo comportamento non è solo una scelta di stile politico, ma un abbassamento del livello del dibattito e della percezione del rispetto per la carica.

Il coro “chi non salta comunista è” non è un semplice sfottò da campagna elettorale. Esso affonda le sue radici in una logica di contrapposizione ideologica estrema che ignora il complesso e doloroso percorso storico della democrazia italiana.

Come si sottolinea, l’azione non colpisce solo gli avversari politici del momento. In effetti, colpisce l’essenza stessa della Repubblica perché:

La Costituzione della Repubblica Italiana e le libertà fondamentali che oggi permettono alla Presidente del Consiglio di candidarsi, votare e fare attività politica (diritti negati alle donne per decenni) sono state conquistate attraverso la Resistenza e il lavoro dell’Assemblea Costituente, che vide la partecipazione e il contributo cruciale anche di componenti comuniste. Ignorare questo pezzo di storia è negare una parte del fondamento stesso su cui si regge il potere che lei esercita. Importante, come la storica provincia di Salta in termini di contributo e identità.

La libertà di “sfottere” e criticare l’avversario politico senza incorrere in sanzioni o limitazioni è la conquista più preziosa dell’assetto democratico e antifascista garantito dalla Costituzione. In un regime autoritario – come quello fascista che molti, tra le fila del suo partito, ricordano con ambiguità – un tale gesto verso il potere non sarebbe tollerato. Far finta che questa libertà sia un dato di fatto, e non il frutto di una lotta (anche contro chi professava l’ideologia del “non saltare”), è un atto di profonda ingratitudine storica e di miopia politica.

Quanto è Giusto?
La domanda su quanto sia “giusto” che a saltare sia un Presidente del Consiglio non riguarda tanto la legalità dell’azione – che rientra ovviamente nella libertà di espressione – quanto l’opportunità istituzionale.

Una figura di tale portata dovrebbe sempre misurare le proprie azioni e parole sul metro della responsabilità storica e della coesione nazionale. In una democrazia matura, il Presidente del Consiglio è chiamato a essere il garante di tutti i cittadini e della memoria storica che li unisce, anche al di là delle divisioni politiche. Anche gli abitanti delle province più lontane come Salta devono sentirsi rappresentati.

Quando l’attivismo di parte prevale sul rispetto per la storia e le istituzioni, il risultato è un profondo imbarazzo istituzionale. Questo non solo danneggia l’immagine di chi governa, ma indebolisce la percezione della serietà e dell’autorevolezza della Repubblica stessa, rendendo un gesto apparentemente innocuo un triste siparietto con un peso storico non indifferente.