Meloni tra deficit e riarmo: negoziato europeo per il piano di difesa
La premier Giorgia Meloni si trova ad affrontare un delicato equilibrio tra le esigenze di bilancio italiane e le crescenti pressioni europee per un rafforzamento della difesa comune.
Al centro del dibattito, il piano di riarmo europeo e la ricerca di strumenti di flessibilità finanziaria per l’Italia, come emerso dall’incontro odierno a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio e Valdis Dombrovskis, commissario europeo all’Economia, la produttività, l’attuazione e la semplificazione.
L’Europa, spinta anche dal nuovo corso della Casa Bianca sotto la presidenza di Donald Trump e dalla minaccia russa alle porte, intende aumentare significativamente le spese per la difesa.
Tuttavia, per l’Italia, il “come” finanziare questo piano, battezzato “ReArm”, rappresenta una sfida non da poco. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha espresso cautela, preoccupato per un’ulteriore iniezione di debito in un momento in cui l’Italia punta a riportare il proprio deficit sotto la soglia del 3% del PIL entro il 2026 (attualmente al 3,3%).
Il commissario Dombrovskis ha evidenziato l’interazione complessa tra l’attuazione del Patto di Stabilità e Crescita e le spese per la sicurezza. Ha proposto una clausola che permetterebbe agli Stati membri di aumentare le spese per la difesa anche in situazioni di deficit eccessivo, con un aggiustamento degli obiettivi di deficit per non ostacolare l’adesione al piano.
Tuttavia, da Palazzo Chigi trapela una certa frenata da parte di Meloni. La premier non è pienamente convinta del “ReArm” nella sua attuale configurazione, ritenendo che il mix di prestiti e flessibilità rischierebbe di indebitare ulteriormente il governo.
Le opposizioni, intanto, sono già sul piede di guerra: Giuseppe Conte (M5S) parla di “tagli a sanità, scuola e infrastrutture” a fronte di una “forsennata corsa al riarmo”, mentre Angelo Bonelli (AVS) denuncia la trasformazione dell’economia italiana in “un’economia di guerra”. Anche il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, pur riconoscendo l’eccellenza dell’industria della difesa italiana, ha sottolineato che lo sforamento del patto di stabilità non dovrebbe avvenire “solo per la difesa”.
In questo contesto, Meloni ha aperto a un nuovo strumento di flessibilità, lo “Step” (Strategic Technologies for Europe Platform), un’iniziativa europea volta a sostenere la competitività e l’autonomia strategica dell’Unione negli investimenti in tecnologie critiche (digitali, pulite e biotecnologie). La premier spinge affinché le spese per la difesa possano rientrare in questo quadro, utilizzando le risorse di programmi e fondi dell’Unione già esistenti.
La trattativa è apertissima. Giorgetti, da parte sua, mantiene una linea prudente, privilegiando la messa in sicurezza dei conti pubblici con il ritorno sotto il 3% di deficit prima di intavolare ulteriori discussioni. L’obiettivo è ambizioso: raggiungere il traguardo entro fine anno o al massimo nel primo semestre del 2026.
La premier, consapevole delle prossime elezioni regionali a partire da settembre, sa che ogni decisione avrà un forte impatto politico.
Nel frattempo, la questione dei dazi rimane in sospeso, con l’attesa della “letterina” di Donald Trump all’Europa.
È prevista la presenza a Roma del commissario europeo Sefcovic, da mesi impegnato nei negoziati con gli USA, mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani sarà a Washington per incontrare Marco Rubio. Il futuro della politica di difesa europea e le sue implicazioni finanziarie per l’Italia restano, dunque, al centro dell’agenda politica.



