Jorge Luis Borges, con la sua ineguagliabile maestria, ci regala ne “I giusti” una visione del mondo che ribalta le nostre concezioni comuni di eroismo e grandezza.
Non sono i grandi leader, gli eroi di guerra o i geni rivoluzionari a salvare il mondo, ma le persone semplici, quelle che compiono azioni ordinarie con una dedizione straordinaria. Il poeta argentino ci invita a guardare oltre il clamore della storia per scorgere la vera essenza della salvezza, che si cela nella quotidianità.
«Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere un’etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che premedita un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina, che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Queste persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.»
Borges dipinge un affresco di umanità silenziosa, fatta di gesti che potremmo definire “inutili” dal punto di vista pragmatico, ma che in realtà sono carichi di un profondo significato. L’uomo che cura il suo giardino non sta solo coltivando piante, ma sta coltivando bellezza, pazienza e un senso di ordine in un mondo caotico.
I due impiegati che giocano a scacchi non stanno sprecando tempo, ma stanno celebrando l’intelligenza e la quiete. Il tipografo, anche se non ama il testo, compie il suo lavoro con cura, onorando il mestiere e il valore della parola scritta.
Sono tutte piccole e apparentemente insignificanti affermazioni dell’esistenza, atti di resistenza contro la banalità e la distruzione.
Borges ci suggerisce che la bontà del mondo non è un risultato di grandi azioni, ma un’accumulazione di innumerevoli, minuscoli atti di gentilezza, dedizione e apprezzamento. La salvezza non è un evento epocale, ma un processo continuo, tessuto da persone che, senza saperlo, contribuiscono a mantenere viva la speranza.
Il “giusto” di Borges non ha bisogno di riconoscimento. La sua azione è fine a sé stessa, motivata dall’amore per il dettaglio, per la bellezza, per la verità. È la gioia di scoprire un’etimologia, la pacifica rassegnazione di chi preferisce che abbiano ragione gli altri, la profonda empatia di chi cerca di giustificare un torto subito.
In questi momenti, l’umanità si riscatta e ritrova il suo senso più profondo. E in questa rete invisibile di azioni gentili, il mondo trova il suo equilibrio e la sua salvezza.