Perché la differenza tra massacro e genocidio è fondamentale





Le parole hanno un peso, e in pochi contesti questo è più vero che nel diritto internazionale. Parlare di “massacro” o di “genocidio” non è una semplice questione semantica o un esercizio retorico.



È una distinzione che determina le responsabilità legali e l’entità della giustizia che può essere offerta alle vittime. Per i morti, il risultato finale è lo stesso, ma per i sopravvissuti, e per l’intera comunità internazionale, la differenza è abissale.



Un massacro è un omicidio di massa, una strage brutale e indiscriminata. Pur essendo un crimine orribile e una palese violazione dei diritti umani, la sua definizione non richiede un’intenzione specifica. Può essere il risultato di un’azione militare caotica, di un atto di vendetta, o di una violenza non pianificata a livello statale.



Il genocidio, invece, è un crimine internazionale di Stato. La sua definizione, stabilita dalla Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio del 1948, si concentra sull’elemento dell’intenzione.



Un genocidio si verifica quando atti come l’uccisione, le lesioni gravi, o l’imposizione di condizioni di vita disumane sono commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Questa intenzione è il fulcro che distingue un genocidio da altri crimini contro l’umanità.



Le conseguenze legali e morali
Negare il genocidio equivale a rimuovere il dolo specifico dal quadro giuridico. Equivale a dire che le atrocità, pur esistendo, non erano frutto di un piano deliberato per annientare un gruppo. Questa negazione ha un impatto diretto su più fronti:



Responsabilità dei colpevoli: L’accusa di genocidio eleva la gravità del crimine, rendendo i responsabili passibili delle più severe condanne a livello internazionale. Non si tratta solo di perseguire chi ha premuto il grilletto, ma di accertare la responsabilità di chi ha pianificato, ordinato e finanziato lo sterminio.



Ruolo dei complici e degli alleati: Se un atto viene riconosciuto come genocidio, anche gli Stati o gli attori che lo hanno agevolato, sostenuto o che non hanno fatto nulla per prevenirlo, possono essere chiamati a risponderne legalmente. La Convenzione sul genocidio obbliga infatti gli Stati a prevenire e punire questo crimine.



Giustizia per i sopravvissuti: Per chi è sopravvissuto, il riconoscimento del genocidio è una forma di giustizia storica e morale. Significa che il loro dolore e la sofferenza del loro popolo non vengono ridimensionati a una tragedia senza scopo, ma sono riconosciuti come il risultato di un piano sistematico e crudele per cancellare la loro identità. È un passo fondamentale verso la ricostruzione e il risarcimento.




La Corte Internazionale di Giustizia ha il dovere di non insabbiare.
La distinzione tra “massacro” e “genocidio” è al centro dei processi che si svolgono davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG). Questo tribunale, istituito dalle Nazioni Unite, è chiamato a risolvere le dispute tra Stati. Recentemente, si è dibattuto su un processo in corso, dove l’accusa di genocidio è stata sollevata da uno Stato contro un altro.



L’attenzione mediatica e politica su questi casi è enorme. La pressione per insabbiare i processi o minimizzare i crimini è spesso forte, perché un verdetto di genocidio avrebbe ripercussioni immense non solo per lo Stato accusato, ma per l’intera comunità internazionale che ha l’obbligo di agire.



Negare che un genocidio sia in atto, o che sia plausibile l’accusa, significa dare un’arma a chi vuole eludere la giustizia. Significa sollevare i colpevoli da gran parte delle loro responsabilità e, in ultima analisi, negare la giustizia e la dignità alle vittime, condannandole a un’altra forma di annientamento: l’oblio.

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