Un esposto dell’Istituto Milton Friedman porta il caso Flotilla in procura a Roma: al centro i documenti ritrovati a Gaza che indicherebbero un finanziamento diretto di Hamas alla missione

Avviso ai naviganti: cosa rischiano i marineros della flottilla

Cosa rischierebbero i marineros della flottiglia, oltre alla vita o a un ergastolo in Israele, se un giorno dovessero essere “reimmigrati” in Italia sotto la protezione delle nostre istituzioni?

Per il momento, la legge italiana garantisce loro la presunzione di innocenza. L’inchiesta del quotidiano Il Tempo, che ipotizzava legami tra alcuni organizzatori della flottiglia e Hamas, è ora rafforzata da un nuovo sviluppo. Infatti l’Istituto Milton Friedman ha annunciato la presentazione di un esposto alla Procura di Roma. Al centro, i documenti ritrovati a Gaza che collegherebbero la Global Sumud Flotilla a trasferimenti di fondi riconducibili ad Hamas. Gli attivisti negano, ma la magistratura sarà chiamata a verificare. Nell’esposto si indicano esplicitamente gli articoli 270-bis e 270-quinquies del codice penale. Dunque, se i flussi e la consapevolezza saranno provati, la cornice giudiziaria cambierà radicalmente di scala.

Un fatto politico però è evidente: il rifiuto di consegnare gli aiuti al Patriarcato latino di Gerusalemme e l’insistenza nel dirigersi verso le acque sotto controllo israeliano indicano un obiettivo che va oltre l’umanitario. Piuttosto punta a costruire un incidente internazionale.

Certo, si poteva immaginare che la ragionevolissima soluzione proposta dal Presidente della Repubblica, dal governo e, con un certo ritardo, anche dai partiti dell’opposizione inclini a raccogliere consensi negli ambienti antagonisti, è stata rispedita al mittente. Farsi salvare dal Patriarcato d’altronde sarebbe stato decisamente umiliante.

Chi partecipa a simili azioni, con due navi dichiaratamente adibite a copertura legale – la Shireen e la Summertime – Jong (Al Shajarah) – non può fingere di ignorare il diritto. L’articolo 244 del codice penale punisce gli atti ostili contro Stati esteri che espongano l’Italia al pericolo di guerra. Inoltre, l’articolo 243 sanziona le intelligenze con lo straniero a scopo di guerra. L’articolo 270 colpisce le associazioni sovversive e l’articolo 416 l’associazione per delinquere. Non serve arrivare all’accusa di terrorismo: basta la consapevolezza di organizzare un atto che rischia di compromettere la sicurezza internazionale.

Nei giorni scorsi erano già emersi due documenti da Gaza che menzionavano figure centrali della flottiglia. Questi documenti rimandavano alla Conferenza popolare per i palestinesi all’estero, ritenuta da più fonti vicina ad Hamas. Uno dei testi recava la firma di Ismail Haniyeh. Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, aveva parlato apertamente di “braccio operativo” di Hamas nella guerra dell’informazione. Ora, con l’esposto alla Procura, la questione assume un peso giudiziario.

In ogni caso, sul piano penale, sia il semplice “collegamento” sia un “controllo operativo” possono configurare rischi gravi o gravissimi.

È difficile immaginare che un governo nazionale scelga di affrontare apertamente la questione, con la piazza rovente. La magistratura italiana, però, dovrà comunque occuparsene: è un “atto dovuto”. Le opposizioni, a loro volta, si troveranno strette in una morsa: difficile contestare l’azione dei giudici, ma altrettanto arduo contenere le reazioni violente di una piazza istigata che già minaccia di esplodere. Sarà la prima verifica istituzionale di una vicenda che finora era rimasta sul terreno della politica e della propaganda. A livello europeo, invece, è improbabile che qualcuno si avventuri ad aprire davvero il dossier.

La flottiglia si è sempre mossa su un terreno ambiguo. La narrazione dominante la presenta come missione umanitaria; tuttavia, i fatti raccontano altro. C’è stata una scelta deliberata di forzare un blocco navale e una vetrina mediatica orientata allo scontro. Inoltre, c’è stata un’ostinazione nel rifiutare canali alternativi di consegna. Propaganda, più che solidarietà.

Un altro comodo equivoco della narrazione è separare nettamente Hamas dal popolo palestinese. Nel 2006, Hamas vinse le elezioni legislative e poi ha governato Gaza de facto senza nuove elezioni. Questo è avvenuto in un contesto di repressione del dissenso riconosciuta dalle stesse ONG. La distinzione, dunque, è meno netta di quanto molti pacifisti vorrebbero. Un’organizzazione che governa senza alternanza, aggredisce Stati confinanti e al contempo reprime i propri cittadini non può essere sciolta, sul piano della responsabilità storica, da quei cittadini che l’hanno legittimata con il voto.

Secondo gran parte degli osservatori di sicurezza internazionale, la strategia di Hamas non mirava solo a colpire Israele. Puntava anche a far saltare i processi di normalizzazione regionale e a trascinare altri Paesi arabi nel vortice del conflitto. Questo obiettivo finora è fallito. Dato ciò, ci si dovrebbe far riflettere sulla reale considerazione degli stati arabi nei confronti di Hamas. In parallelo, la propaganda ambisce a colpire le democrazie dall’interno, sfruttando la frustrazione generazionale dei movimenti antagonisti. Questi movimenti sono spesso cavalcati da aggregazioni in cerca di una “giusta causa” per rinvigorire le truppe, cinicamente magari in vista delle prossime elezioni interne. In questo quadro, flottiglia ed esposizione mediatica transnazionale diventano amplificatori perfetti.

Il pacifismo ingenuo è il miglior alleato dei dittatori, come ammoniva Winston Churchill: “ognuno spera che, se nutre a sufficienza il coccodrillo, il coccodrillo lo mangerà per ultimo”.

Onori e gloria in caso di ritorno

In caso di ritorno gli esiti giudiziari dipenderanno dagli accertamenti. Sul piano politico, però, il quadro è nitido. La flottiglia non è esclusivamente un’iniziativa di pace. L’operazione si colloca come minimo fra una provocazione calcolata e un atto di guerrilla informativa. Questo ha lo scopo di trascinare l’Italia e l’Europa in tensioni internazionali.

Nell’ipotesi avanzata dal generale Tricarico, la vicenda va oltre. La flottiglia non sarebbe solo propaganda, ma un vero braccio operativo di Hamas nella guerra dell’informazione. Certamente l’organizzazione di questo tentativo di invasione resta uno dei trofei che Hamas può esibire dopo il 7 ottobre. Non avendo una marina, non avrebbe mai potuto sfidare Israele sul mare. Tuttavia, ci riesce sfruttando l’ingenua complicità di attivisti occidentali trasformati in carne da propaganda. L’altro trofeo, non meno sorprendente, è di essersi visto premiare con il riconoscimento del fittizio stato di Palestina da parte di Paesi come Spagna, Irlanda e Norvegia, alle prese con crisi interne di governo. Questo è un paradosso diplomatico che conferma quanto la debolezza delle democrazie sia terreno fertile per chi vive di provocazione e violenza.

A bordo ci sono molte cime ma una sola corda

Intanto a Gaza si attende l’esito dell’ultimatum di Donald Trump. Tre giorni per accettare la tregua proposta, pena “un triste epilogo” (scadenza tra il 3 e il 4 ottobre).

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