Trump ferma l’annessione della Cisgiordania: “Netanyahu perderebbe il nostro sostegno”



Un nuovo e perentorio “altolà” giunge da Washington a Gerusalemme per voce del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L’avvertimento è chiaro: Israele non deve procedere con l’annessione della Cisgiordania, poiché un simile passo comporterebbe la perdita totale del sostegno americano.



Il Presidente Trump ha motivato la sua inamovibile posizione appellandosi a una “parola data ai Paesi arabi” durante i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza. Sebbene il tema dell’annessione non fosse esplicitamente incluso nei venti punti del piano di pace americano, la Casa Bianca lo considera una “linea rossa”. Pertanto, il Primo Ministro Benyamin Netanyahu non deve assolutamente oltrepassare questa linea.

A ribadire la serietà della minaccia è stato il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, poco prima di un viaggio cruciale in Medio Oriente. “Sarebbe una minaccia alla pace”, ha avvertito Rubio, in missione per assicurarsi che la tregua con Hamas regga. Questo segue le precedenti visite di emissari di alto livello come Steve Witkoff, Jared Kushner e Jd Vance.

L’intera amministrazione Trump si è trovata costretta a ribadire il divieto di annessione. Lo hanno fatto dopo che la Knesset (il parlamento israeliano) aveva votato in via preliminare due proposte di legge. Queste proposte puntavano a estendere la sovranità israeliana sulla Cisgiordania, che Israele chiama Giudea e Samaria.

Il monito americano ha avuto l’effetto sperato: Netanyahu ha fatto un passo indietro, bloccando l’iter parlamentare delle proposte. L’ufficio del Premier ha bollato il voto come una “deliberata provocazione politica da parte dell’opposizione per seminare discordia”. Questo accadde proprio durante la visita del Vicepresidente Jd Vance. Quest’ultimo, infatti, si era detto “molto stupito” e “offeso” dall’accelerazione della legge in sua presenza. Ha definito l’azione uno “stupido esercizio politico”.

Netanyahu ha quindi assicurato che, mancando l’appoggio dei principali partiti della coalizione (Likud e partiti religiosi), è “improbabile” che le proposte vengano approvate. L’unica eccezione nel voto è stata quella di un membro scontento del Likud, Yuli Eldestein. È stato subito liquidato dall’ufficio del Premier come “recentemente licenziato dalla presidenza di una commissione della Knesset”.

L’iniziativa della Knesset, promossa dal parlamentare Avi Maoz del partito di estrema destra Noam, ha sollevato l’indignazione di diversi Paesi arabi e musulmani. Tra questi si trovano Egitto, Qatar e Turchia (garanti del cessate il fuoco), e l’Arabia Saudita. Quest’ultima relazione è fondamentale per Trump.

Il Regno saudita è un obiettivo chiave per Trump, che desidera includerlo negli Accordi di Abramo (il fiore all’occhiello del suo primo mandato) entro la fine dell’anno.

La normalizzazione con Israele resta però osteggiata da membri dell’ala più dura del governo israeliano. Tra questi si trova il ministro di estrema destra Bezalel Smotrich, specialmente se questa dovesse implicare la nascita di uno Stato palestinese. Smotrich, noto per le sue posizioni estreme, è stato costretto a scusarsi con Riad. Aveva detto ai sauditi di “continuare pure a cavalcare cammelli nel deserto”.

Sul fronte del dopoguerra a Gaza, in una lunga intervista al Time, Trump ha annunciato che si recherà personalmente nella Striscia. Lo farà per presiedere il Board of Peace previsto dal suo piano.

Non ha escluso la possibilità di chiedere a Israele il rilascio di Marwan Barghouti. Si tratta di una figura di spicco di Al Fatah in carcere da 20 anni, ritenuto in grado di unire le fazioni palestinesi. Trump ha anche lasciato intendere una possibile uscita di scena del presidente dell’ANP, Abu Mazen, pur ritenendolo un uomo “ragionevole”.

Intanto, la TV egiziana Al Qaera News ha riportato un incontro al Cairo tra le delegazioni delle fazioni rivali palestinesi, Fatah e Hamas. Si sono riuniti per discutere la situazione nazionale generale e gli accordi postbellici. Hamas, tuttavia, deve ancora adempiere alla sua parte dell’accordo, ovvero la consegna di tutti i corpi degli ostaggi uccisi e il disarmo.

Riguardo a quest’ultimo punto, oltre alla minaccia di annientamento reiterata da Trump in caso di mancato disarmo, il Vicepresidente Vance ha confermato che il compito di disarmare Hamas spetterà alla futura Forza di stabilizzazione internazionale. Questa forza è ancora da costituire.

Il Segretario Rubio ha inoltre riferito che gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di richiedere un mandato dell’ONU.

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