ADHD, cosa significa conviverci e come abbattere i pregiudizi. Intervista alla Dottoressa Beatrice Casoni

Ottobre è il mese della consapevolezza sull’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), un’occasione per riflettere su cosa significhi davvero convivere con questa condizione e su quanto i pregiudizi possano influenzare la vita dei bambini e delle loro famiglie.

Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo consultato la dottoressa Beatrice Casoni, medico psichiatra presso Poliambulatorio Medico Odontoiatrico ERRESSE di Ferrara

Dottoressa Casoni, cosa si intende davvero per ADHD e perché è così spesso frainteso?

L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo che riguarda tre aree principali: l’attenzione, il controllo dell’impulsività e la regolazione dell’attività motoria.

Non si tratta di una “mancanza di educazione” o di “voglia di fare i capricci”, ma di un diverso modo in cui il cervello gestisce l’attenzione e le emozioni.

Il problema nasce quando i comportamenti tipici dell’ADHD — agitazione, difficoltà a concentrarsi, impulsività — vengono letti solo come segni di disobbedienza.

Così, molti bambini finiscono per essere considerati “difficili”, quando in realtà stanno cercando di adattarsi a un mondo che non sempre li comprende.

Lo stigma nasce da una scarsa comprensione ed è uno stigma che pesa molto.

Un bambino che sente di “sbagliare sempre” rischia di perdere fiducia in sé e negli adulti.

Serve un cambio di prospettiva: non “come posso farlo comportare meglio?”, ma “come posso aiutarlo a sentirsi capace e compreso?”. Quando l’ambiente diventa accogliente, il bambino può finalmente esprimere il meglio di sé.

L’ADHD viene spesso associato solo a difficoltà. Ci sono anche aspetti positivi?

Certo. Molti bambini e ragazzi con ADHD sono creativi, curiosi e pieni di energia.

Hanno un modo di pensare rapido e intuitivo, spesso in grado di trovare soluzioni originali dove altri non arrivano. Sono persone che si entusiasmano, che mettono passione in ciò che fanno e che hanno una forte capacità di amare: sentono intensamente e, quando si sentono accettati, danno molto in termini di empatia e autenticità.

Queste sono risorse preziose: il nostro compito è aiutarli a coltivarle, senza schiacciarle sotto il peso dei giudizi.

Quali sono oggi i trattamenti disponibili per l’ADHD?

Oggi abbiamo molte strategie efficaci per gestire l’ADHD. Il primo passo è una diagnosi accurata, fatta da un’équipe multidisciplinare (psichiatra, neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, terapista della neuropsicomotricità). Una volta compreso il profilo del bambino, si costruisce un percorso personalizzato, che può includere: 

Interventi psicoeducativi per genitori e insegnanti, per imparare strategie pratiche di gestione dei comportamenti e del tempo;

Terapie cognitivo–comportamentali (CBT), utili a migliorare l’autoregolazione, l’attenzione e la gestione emotiva;

Trattamento farmacologico, nei casi indicati, sotto stretta supervisione medica, che può ridurre in modo significativo i sintomi e migliorare la qualità della vita;

Supporto psicologico per rafforzare l’autostima e le competenze sociali.

L’obiettivo non è “normalizzare” il bambino, ma aiutarlo a vivere meglio con se stesso, a sentirsi capace, competente e sereno.

Cosa possono fare genitori e insegnanti per sostenere questi bambini?

Prima di tutto, creare un ambiente comprensivo e strutturato con routine chiare, regole semplici e coerenza. È utile rinforzare i comportamenti positivi, evitare critiche eccessive e riconoscere i progressi, anche piccoli. La collaborazione tra scuola, famiglia e specialisti è essenziale: un approccio condiviso fa davvero la differenza nel percorso di crescita di questi ragazzi.

L’ADHD riguarda solo i bambini?

Assolutamente no, sono molti coloro che arrivano ad una diagnosi solo in età adulta. Questo non significa che il disturbo esordisca in età adulta, è presente fin dalla nascita ma non è mai stato individuato in precedenza spesso causando molte difficoltà in infanzia e adolescenza. Spesso per queste persone è un sollievo ottenere una diagnosi di ADHD dopo anni di difficoltà. E quanto abbiamo detto rispetto allo stigma e alle strategie di intervento vale anche per adolescenti e adulti. 

Come sostenere una persona con ADHD?

Per genitori e insegnanti

1. Ascolta e osserva, prima di giudicare.

Comprendere il perché di un comportamento è più utile che criticarlo

2.Crea routine chiare e prevedibili.

Aiutano ad organizzarsi e a sentirsi più tranquilli.

3. Usa il rinforzo positivo.

Premiare l’impegno e i progressi motiva molto di più del rimprovero.

4. Collabora con la scuola.

Insieme si possono creare strategie efficaci di supporto.

5. Rivolgiti a professionisti qualificati.

Un percorso terapeutico su misura migliora la qualità della vita di tutto il nucleo familiare.

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